MESSINA. Interruzione di pubblico uffico e truffa aggravata. Sono le accuse per le quali 4 funzionari dipendenti di Poste italiane sono stati interdetti dai pubblici uffici per 4 mesi. Il provvedimento è stato emesso dal gip Monica Marino e illustrato pochi minuti fa in conferenza stampa da Franco Oliveri, Capo della squadra mobile, alla presenza anche della portavoce della questura,  Maria Laura Grasso.

Secondo la ricostruzione dei fatti, parte della corrispondenza del centro di smistamento di via Olimpia che doveva essere recapitata veniva certificata come irrecapitabile, quindi veniva rimandata al macero o al mittente. L’obiettivo era quello di ricevere dei benefit in quanto la produttività era rispettata, ma così non era. L’ammontare delle “lettere” non recapitate ammonta a circa 500 plichi, che sono stati poi rispediti. In precedenza erano state ricevute delle denunce da parte di cittadini che si lamentavano per il disservizio, “dovuto ad una precisa scelta dei responsabili del centro”.

“Nel corso dell’attività – si legge nella nota stampa – iniziata nel 2016 e protrattasi per circa un anno, sono stati effettuati dei sequestri di corrispondenza in parte destinata al macero ed in parte da restituire al mittente, nonostante i rispettivi destinatari risultassero ordinariamente ed agevolmente rintracciabili all’indirizzo indicato nelle missive”.

Tutti gli indagati avevano un contratto a tempo indeterminato: si tratta di 3 funzionari dipendenti e di un portalettere.

«È risultato che gli indagati – prosegue la nota – turbavano la regolarità del servizio pubblico cui erano preposti e segnatamente omettevano volontariamente il recapito di plichi postali ai destinatari formalmente giustificando tale omissione – mediante la compilazione del cd modello 24B – in ragione della asserita non rintracciabilità o irripetibilità dei destinatari, pur a fronte dei dati desumibili dalla compilazione della corrispondenza che in realtà avrebbero consentito l’esatta individuazione dei destinatari e la regolare consegna della posta, e ciò al fine di procurare a se stessi un ingiusto profitto – consistente nell’indebito conseguimento di premi economici di produzione e di giusta incentivazione operativa – in virtù del solo apparente “smaltimento” della corrispondenza che di fatto, invece, non veniva recapitata ma destinata al macero».

 

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