MESSINA. A poco meno di un anno di distanza dalla condanna ad 11 anni per Francantonio Genovese, pronunciata il 23 gennaio del 2017, arrivano le motivazioni della sentenza “Corsi d’oro 2” sulla formazione professionale. E non sono tenere con l’ex sindaco di Messina.

Una “sistematica quanto capillare depredazione di risorse pubbliche”, attraverso “una attenta regia delinquenziale”, così depredando “migliaia di giovani disoccupati” della “speranza di trovare occupazione”. Questo scrivono, in sintesi, i giudici della prima sezione penale del Tribunale di Messina, composto  da Maria Pina ScolaroMassimiliano Micali e la presidente Silvana Grasso, nelle 500 pagine in cui spiegano passo dopo passo le ragioni della condanna nei confronti del deputato di Forza Italia e di altri 19 imputati, tra i quali il cognato Franco Rinaldi (2 anni e 6 mesi), per i reati a vario titolo di associazione a delinquere, riciclaggio, frode fiscale, truffa e tentata estorsione (quest’ultima ai danni del dirigente regionale Ludovico Albert).

Motivazioni che sono occasione per i giudici messinesi di un’attenta disamina del sistema della Formazione regionale, non senza una “bacchettata” al sistema di controlli regionali definiti “assolutamente inadeguati”.

All’interno delle motivazioni ci sono 43 milioni di euro, sottratti attraverso “un meccanismo criminale nel quale l’ente di formazione (ed in particolare l’Aram e la Lumen) depauperato della nobile funzione che in teoria ne avrebbe dovuto guidare l’azione (ossia consentire, in una realtà economicamente depressa quale quella siciliana, ai giovani disoccupati di acquisire professionalità da spendere nel mondo del lavoro) è divenuto il canale per garantire l’arricchimento di pochi”.

“Le ragioni di ciò appaiono fin troppo evidenti – continuano i giudici – Non è il desiderio di offrire una speranza di occupazione alle migliaia di giovani disoccupati che, di regola privi di un personale bagaglio formativo, hanno intravisto nei corsi di formazione una concreta possibilità di riscatto, non è il perseguimento di alcun fine nobile. L’ente di formazione è, per un verso, un imponente bacino cui attingere consenso elettorale (ciò vale all’evidenza per l’imputato Genovese) e, per altro verso, solo lo strumento per appropriarsi di denaro pubblico”.

La condanna di Genovese, del cognato Rinaldi e degli altri imputati, i giudici la riassumono con un giudizio nettissimo: “Rilevantissimi flussi di denaro pubblico attraverso il quale si è inteso supportare economicamente un’attività formativa che consentisse a giovani disoccupati di acquisire specifiche competenze da spendere nel mondo del lavoro (attività il cui l’onere l’ente pubblico finanziatore non ha reputato di assumere in prima persona, delegandone, piuttosto, l’esecuzione a strutture private). Nell’ottica accusatoria, detti contributi avrebbero, invero, costituito oggetto degli appetiti criminali della gran parte degli odierni imputati. Costoro, in altri termini, si sarebbero attivati per rivolgere a loro esclusivo vantaggio, attraverso l’adozione di meccanismi truffaldini, parti rilevanti di dette risorse”.

A questo scopo venivano acquistate “attrezzature e beni mobili in genere a prezzo di mercato – scrivono nelle motivazioni – per il tramite di un’azienda controllata dagli agenti per poi noleggiare gli stessi beni all’ente di formazione con una evidente esorbitante maggiorazione del prezzo e così lucrando la notevole differenza”.

In altri casi, invece, “sono stati dei contratti di consulenza “inesistenti” e le relative fatture ad essere posti tra i costi di gestione dei progetti finanziati, oppure, ancora, i servizi di pulizia appaltati a società “consorelle” dell’Ente di formazione, le quali , le quali effettuavano delle sovrafatturazioni che poi venivano assunte a documenti giustificativi dei costi “spropositati” sostenuti dall’ente ai fini del riconoscimento della spesa e della conseguente elargizione, in prima battuta, degli acconti e, all’esito dell’attività di rendicontazione, dei saldi”.

Altrove, all’interno delle 500 pagine, i giudici si riallacciano alle altre indagini a carico di Francantonio Genovese: “Si può anticipare come il dibattimento abbia, ad opinione di questo Collegio, confortato appieno la prospettazione appena tratteggiata ed abbia, altresì, condotto, in taluni casi, a ricostruire la sorte degli indebiti profitti e di ciò si darà contezza nelle pagine seguenti. Non può, da ultimo, non segnalarsi come il presente procedimento, muovendo, da tale base, abbia, poi, esplorato un tema di indagine connotato da profili di novità. Si allude, cioè, alle risultanze cui hanno condotto le verifiche fiscali alle quali Genovese Francantonio (soggetto che nel mondo della formazione professionale siciliana e, ancor di più, nel panorama politico regionale e nazionale costituisce, di certo una figura di primo piano), nonché talune società a lui reputate comunque riferibili sono state sottoposte sulla scorta di quanto l’attività di indagine andava delineando con sempre maggiore chiarezza. Un vorticoso giro di fatture per compensare un’asserita attività di consulenza (mai svoltasi nell’ottica accusatoria) e le conseguenze che sul piano fiscale, da esso è conseguito rappresentano il precipuo oggetto delle contestazioni di cui a capi 16″.

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luigi43
luigi43
19 Gennaio 2018 16:32

Se penso che il mocciosetto , suo figlio , ha avuto quasi ventimila voti – nella sola Messina – devo proprio scrivere che ognuno ha i ” politici” che si merita.