Fave, pasta e agnelli pasquali (più o meno brutti) sono la Bibbia della Pasqua e della pasquetta messinese. Tra il dolce e il salato cinque ricette che si trovavano sulle tavole dei nonni e che ancora oggi sono parte di pranzi, cene e “schiticchi” di tutti i messinesi.

Antipasto: fave, salame, pecorino e uova sode

Se in generale le fave sono legate all’arrivo della primavera, in Sicilia hanno anche un altro significato, si crede infatti che rappresentino un legame tra l’umanità e l’imperscrutabile. A pasqua al centro della tavola non possono mancare fave, pecorino (o pepato fresco), salame e uova sode, simbolo della pasqua.

I quattro ingredienti possono essere messi al centro della tavola per un antipasto semplice oppure elaborati, ad esempio facendo delle bruschette guacamole e uova o una crema di fave da spalmare sul pane e accompagnare con salame e pecorino.

Primo: pasta ncaciata

La pasta ncaciata o ncasciata è uno dei piatti della tradizione messinese più conosciuti, tipico del ferragosto ma anche del pranzo pasquale o della “rrustuta” fuori porta del lunedi dell’Angelo (e in genere di ogni domenica trascorsa a mangiare dai genitori). Nasce dall’unione di vari avanzi: quello del sugo del falso magro e i rimasugli di formaggi e salumi che secondo la storia le massaie si ritrovavano in casa per sfamare i membri delle numerose famiglie.

Il nome “ncasciata”  potrebbe avere due derivazioni: la prima dal tegame di terracotta in cui si cuoceva la pasta, una preparazione antichissima che prende proprio il nome di “u ncaçio”. Infatti in antichità la pasta veniva cucinata dentro un tegame di terracotta adagiato e rivestito di brace calda, come se fosse un forno a legna. La seconda possibilità è la derivazione dal caciocavallo che la ricopriva la pasta creando una crosticina croccante.

Oggi, la cottura nelle braci è stata sostituita da quella in forno, ma rimane (dove possibile) la tradizione di cuocere la pasta ‘ncasciata alla messinese in recipienti di terracotta.

qui la ricetta

Secondo: U Sciusceddu pasquale 

Lo sciusceddu è un piatto tipico del pranzo di pasqua messinese. Si tratta di un piatto a base di polpettine di carne immerse in un brodo caldo e poi ricoperte da uno strato di ricotta, formaggio e uova arricchita poi da spezie di stagione. La crema si unirà alle polpette andando a formare uno strato superficiale più croccante come quello del soufflé.

La sua origine è incerta, molti infatti sostengono che sia nato nei monasteri, dove le monache dopo il digiuno quaresimale decisero di realizzare un pranzo completo. Altri invece affermano che l’origine del piatto sia popolare: dopo le penitenze del periodo pre-pasquale infatti i fedeli trovavano gioia nei piaceri del palato e festeggiavano la resurrezione con un pasto abbondante. Anche il nome è di dubbia provenienza. C’è infatti chi sostiene che la parola “sciusceddu” derivi dal siciliano “sciusciare” (dalla necessità di soffiare su ogni boccone), chi invece ne trova la radice nella parola latina “juscellum“ (zuppa)

Ancora, un terzo gruppo di studiosi sostiene che ci possa essere una connessione col francese soufflé, dovuta al fatto che in alcune versioni del piatto messinese si aggiungono degli albumi montati a neve alla ricotta allo scopo di ottenere, a cottura ultimata, una copertura gonfia e soffice.

Il formaggio usato nell’antica ricetta è il maiorchino (oggi presidio slow food), un pecorino molto apprezzato, tipico della provincia di Messina nelle zone dove predomina l’allevamento ovino e caprino e in particolare nei comuni che ricadono nella catena dei Peloritani. Nella ricetta viene viene spesso sostituito con pecorino di altre zone o, da chi preferisce un gusto più delicato, dal parmigiano.

qui la ricetta

Dolce: cuddura cu l’ova

È un dolce tipico del periodo pasquale in tutta la Sicilia, ma a Messina si differenzia. Infatti mentre sul resto dell’Isola si tratta di una sorta di biscotti di pasta frolla fatta con lo strutto, nella città dello stretto la cuddura è fatta con l’impasto dei “panini di cena”. Il nome deriva dal greco “kollur” (corona) e già proprio i greci erano soliti offrire alle divinità l’impasto durante i riti religiosi.

Le forme della cuddura riprendono alcune immagini: u campanaru” che rappresenta le campane simbolo di festa, “u panarieddu” il paniere, simbolo di abbondanza, “a palumma” che rappresenta la colomba pasquale, “curuna” che richiama la corona di spine.

Anche se in genere viste come “dolce” le cuddure non sono estremamente dolci, quindi possono essere accompagnate anche da salumi e formaggi.

qui la ricetta

Dolce: agnello di pasta di mandorle

Il simbolo per eccellenza della Pasqua, l’usanza di confezionare l’agnello di pasta di mandorle per il giorno di pasqua affonda le sue radici a Favara. La storia vuole che a creare questo dolce siano state le suore del Collegio di Maria del quartiere Batia (di Favara, appunto), che pigiarono del marzapane dentro un calco di gesso a forma di agnello (dall’iconografia cristiana).

Nel tempo la tradizione si è diffusa in tutta la Sicilia ed oggi a Messina l’agnello è il secondo dolce tradizionale più regalato.

qui la ricetta 

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