MESSINA. Riceviamo e pubblichiamo un contributo di Angela Rizzo, responsabile regionale per i servizi sociali e i rapporti con gli Enti Locali di CittadinanzAttiva, che fa il punto sui servizi per i minori nei quartieri a rischio di Messina nel trentesimo anniversario della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, prendendo spunto dalle recenti dichiarazioni social del sindaco Cateno De Luca, che nei giorni scorsi ha definito “non prioritari” i centri sociali e i programmi di alfabetizzazione. 

Di seguito il contributo integrale:

Quest’anno la “Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza” compie trent’anni. Molto è stato fatto e moltissimo resta da fare.

Gli articoli della Convenzione possono essere raggruppati in quattro categorie in base ai principi guida che la informano:

  • Principio di non discriminazione: sancito all’art. 2, impegna gli Stati parti ad assicurare i diritti sanciti a tutti i minori, senza distinzione di razza, colore, sesso, lingua, religione, opinione del bambino e dei genitori;
  • Superiore interesse del bambino: sancito dall’art. 3, prevede che in ogni decisione, azione legislativa, provvedimento giuridico, iniziativa pubblica o privata di assistenza sociale, l’interesse superiore del bambino deve essere una considerazione preminente;
  • Diritto alla vita, sopravvivenza e sviluppo: sancito dall’art. 6, prevede il riconoscimento da parte degli Stati membri del diritto alla vita del bambino e l’impegno ad assicurarne, con tutte le misure possibili, la sopravvivenza e lo sviluppo;
  • Ascolto delle opinioni del bambino: sancito dall’art. 12, prevede il diritto dei bambini a essere ascoltati in tutti i procedimenti che li riguardano, soprattutto in ambito legale. L’attuazione del principio comporta il dovere, per gli adulti, di ascoltare il bambino capace di discernimento e di tenerne in adeguata considerazione le opinioni. Tuttavia, ciò non significa che i bambini possano dire ai propri genitori che cosa devono fare. La Convenzione pone in relazione l’ascolto delle opinioni del bambino al livello di maturità e alla capacità di comprensione raggiunta in base all’età.

Se fino al 2010 si poteva essere fiduciosi per i progressi che l’Italia e il mondo intero facevano per attuare gli articoli della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, la battuta di arresto è arrivata con l’applicazione sui territori di questo atto. E ciò, specialmente, al Sud.

Lo scorso 22 novembre nell’ambito della Giornata Internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, il Garante per i minori ha osservato che “il 34 per cento dei ragazzi dai 14 ai 18 anni non va più a scuola. Sulla povertà ho portato un dato statistico nazionale di un milione e 800 mila poveri, ma sono prevalentemente concentrati al Sud. Di questi, 800 mila sono in stato di assoluta povertà. Un calcolo che passa da tre dati: dimensione abitazione, possibilità di riscaldare le abitazioni e i pasti. Ne viene fuori che solo i bambini che riescono a frequentare le mense scolastiche, mangiano bene. Gli altri patiscono, se non la fame, quantomeno una cattiva alimentazione. A Messina, i poveri in questo stato di privazione sono circa mille e di loro si curano in questo momento quasi esclusivamente associazioni di volontariato e la chiesa”.

Per di più i dati della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle periferie della fine del 2017 dicono che tra i centri italiani con la più la alta percentuale di famiglie in potenziale disagio socio-economico si rinviene proprio Messina (pp. 22-23).

Il vero problema, però, è che la raccolta di dati su aspetti specifici della Convenzione risulta in generale incompleta e viziata, come ha osservato all’inizio di quest’anno il Comitato per i diritti dell’infanzia dell’ONU, che ha raccomandato all’Italia di “continuare a migliorare il proprio sistema di raccolta dati, in particolare il Sistema informativo dei servizi sociali, anche estendendo continuamente il proprio set di dati, per coprire tutti i settori della Convenzione e suddividere i dati per età, sesso, disabilità, ubicazione geografica, origine etnica e nazionale e background socioeconomico, al fine di facilitare l’analisi della situazione di tutti i bambini, in particolare quelli in situazioni di vulnerabilità”. Aggiungiamo a questa notazione valida in generale per il Paese che il monitoraggio dei bisogni realizzato dal Comune di Messina non risulta – e la formula è eufemistica – molto accurata.   

In questo quadro di incertezza, che ha chiare conseguenze sull’identificazione degli obiettivi, non è azzardato affermare che la sola attività meritevole appariva quella relativa ai CAG, oggi CSE (a Messina). Strutture, occorre dire, che sono state ampiamente definanziate e ridotte.

Negli anni ottanta nascono in Italia i Centri di Aggregazione Giovanile, CAG, specializzati nell’offerta educativa a bassa soglia. Nel 1994 i Centri fanno la loro comparsa anche a Messina: a Bordonaro, Camaro, Villaggio Aldisio e Santa Lucia sopra Contesse, i CAG, gestiti da cooperative con fondi Comunali, negli anni diventano otto.

I Centri dovevano essere una risposta ad un bisogno fondamentale dei giovani e dei ragazzi, un ambito privilegiato dove sperimentare il gioco della vita. I fruitori sono minori di età tra i 6 e 18 anni, compresi minori stranieri e portatori di handicap. Nel 2017 la denominazione CAG viene sostituita da quella di CSE (Centri Socio Educativi), ma gli scopi rimangono tali e quali.

La spesa sostenuta dal comune di Messina per il mantenimento degli otto CSE è di  1.413.062,40 euro per 12 mesi (dato valido fino al 1 marzo 2019; con la nascita della Messina Social City non si hanno notizie della spesa e nemmeno degli utenti). Nei bandi erano previsti circa 60 ragazzi per ogni CSE, per un totale di 480. Ma le strutture non hanno mai funzionato a regime e fino a quando erano gestiti dalle cooperative il numero di utenti era di circa 250.

Se ne deduce che invece di controllare se le somme stanziate fossero stata ben spese e riflettessero il capitolato per attività e numero di ragazzi e, in caso contrario, eventualmente incrementare, pubblicizzare e invogliarne l’uso, la pubblica amministrazione si è limitata a pagare senza approfondire, facendo così gridare allo scandalo per la spese dei servizi sociali.

È stato per esempio osservato che i Centri sono stati una risorsa occupazionale e di lottizzazione politica (come tutti i servizi sociali) . E anche che i soldi dedicati ai minori da 6 a 18 anni si spendono, ma si spendono male e nella più totale inosservanza delle critiche sollevate negli anni.

È evidente che nella città dello Stretto la Convenzione dell’ONU è scivolata addosso come l’olio, malgrado la sua importanza ai fini educativi e di supporto a genitorialità strette tra mille problemi.

Eppure, malgrado questi limiti, tagliare le risorse non è una via praticabile. Le istituzioni debbono migliorare la propria performance, non usare gli sprechi come un pretesto per sottrarre servizi fondamentali per la persona. Così come i CAG non sono unicamente un servizio ai minori, ma anche ai genitori in difficoltà, supplendo a quelle mancanze di capitale culturale che impedisce ai genitori di prendersi adeguatamente cura dell’educazione scolastica dei figli oppure liberando il tempo delle donne che possono andare a svolgere dei lavoretti, è ugualmente difficile immaginare una società che possa trovare vantaggi dalla riproduzione dell’ignoranza, della dispersione scolastica e della devianza.

Al contrario la necessità di Messina è quella di creare spazi di integrazione e di supporto inter- istituzionale nell’affrontare sistemi complessi di bisogno. È necessario dunque valutare la reintroduzione di tempi prolungati e servizi complementari nell’ambito scolastico, che, nelle situazioni di disagio e povertà diventano certamente forme d’intervento efficaci, come mense scolastiche e asili comunali. Sono indispensabili progetti individuali e di micro-gruppi per il recupero di conoscenze e capacità mediante attività para-scolastiche, laboratori di esperienze e stage per l’inserimento lavorativo, valorizzazione della dimensione del tempo libero e delle attività sportive come momenti di recupero di identità e socializzazione.

La povertà relazionale ha invece preso il sopravvento,  o è stata sostituita da forme comunicative altamente mediate che però non rappresentano una valida alternativa.

Non dobbiamo dimenticare inoltre le povertà dei minorenni stranieri, che necessitano di percorsi d’inclusione forti, vivendo una doppia marginalità. Parte dei ragazzi italiani, ma anche stranieri, soffrono di vari tipologie di disagi e sono privi di sostegno da parte di servizi specializzati. Appare necessario dunque costruire un “progetto di Città”, dagli orari degli autobus che rispettino i flussi di vita dei cittadini (per esempio quelli legati all’apertura e chiusura delle scuole e alla garanzia delle linee) a una collaborazione tra le strutture sanitarie e specialistiche. Occorre, come sappiamo, migliorare la sicurezza dei plessi scolastici, ma bisognerebbe  anche migliorarne l’estetica, così da rendere piacevoli i luoghi dell’impegno e rendere questo meno gravoso. Si dovrebbe potere mettere in condizione la popolazione di vivere tutto il giorno e tutto l’anno gli istituti comunali, le scuole, le palestre, il Palacultura. I bambini e gli adolescenti devono sapere che ci sono luoghi per loro.

Alcune iniziative, peraltro, hanno costi limitatissimi o prossimi allo zero. Per esempio quelle che consistono nel creare stage dedicati in convenzione con istituzioni pubbliche: per esempio presso la Biblioteca Comunale, il Museo, la Galleria d’Arte Moderna, la Gazzetta del Sud e con tutte le poche realtà economiche di rilievo che insistono in città. Anche perché, dopo il percorso scolastico obbligatorio, i minori che non aspirano all’Università vivono un gap di vuoto formativo e d’impegno.

Ugualmente occorrerebbe rendere vivibile la città, gli spazi a verde, il fronte mare. Creare spazi cittadini per il gioco, l’utilizzo di ville comunali e parchi, agevolazioni per la piscina comunale, campi sportivi e cittadella dello sport.

Rendere la città accogliente. Poiché i cittadini hanno dei diritti fondamentali, a Messina dobbiamo iniziare a costruire una comunità che si riconosca  nei diritti e che elimini la parola “periferie” (una delle più estese secondo il summenzionato rapporto della Commissione parlamentare).   

È necessario ri-collegare tutte le emergenze a partire da quella per il lavoro e, a cascata, quelle per il disagio abitativo, le baracche, la sanità, le scuole e sport. Insomma è compito delle Istituzioni governare la città e non assoggettarla, deprivandola, riducendo i bisogni a spesa e, in tal modo, riproducendoli.

Gli strumenti normativi necessari ad attuare un quadro completo di tutela dei minori  ci sono e hanno anche una certa cogenza. È dunque compito delle istituzioni centrali e locali attuare i suddetti strumenti, mettendo in atto delle attività finalizzate non solo all’inclusione, ma alla realizzazione di un progetto normativo non solo prospettato e auspicato dai nostri costituenti, ma da tutta la comunità. Solo così si può creare una sinergia e sviluppare fiducia nelle istituzioni. La fiducia, infatti, è ben più importante che la repressione e viene prima di quest’ultima. 

Si tratta, insomma, di tutto quello che oggi non può essere affermato perché i “bisogni” sono visti o come spesa (“utile ma non fondamentale”) oppure come risorsa pubblica parassitario-clientelare e, dunque, condizione da eliminare.

In questa prospettiva perversa, i poveri, i minori, i disoccupati e i rom sono dunque visti non come  popolazioni risultanti da processi strutturali, che generano forme croniche di disuguaglianza storica e, pertanto, come soggetti  a cui garantire dei diritti fondamentali previsti peraltro dalla Costituzione. Al contrario questi gruppi vengono visti come causa di spesa o pretesto per monetizzare.

Sono atteggiamenti che riflettono una miopia incredibile che non vede che i veri costi sociali stanno nella riproduzione di una popolazione dei margini e non negli interventi per la riduzione delle disuguaglianze. A ogni modo è certo che a Messina l’attuazione della convenzione dell’ONU per i diritti dell’infanzia e l’adolescenza può attendere ancora. E non è una bella notizia.

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