MESSINA. A Raccuja, su 10 abitanti, quasi sei sono over 65: poco meno di 500 persone sugli 834 cittadini del piccolo comune dei Nebrodi. È uno dei dati più eclatanti emersi nel report sull’area interna della provincia presentato questa mattina dalla Cgil di Messina, a cura della segretaria confederale Stefania Radici.

Il documento analizza il lento  declino di 56 comuni su 108 (in cui vive il 22 per cento della popolazione) denunciando le principali criticità e le colpe della politica, fra servizi carenti e un’emorragia costante che coinvolge adesso anche le persone anziane, emigrate spesso per raggiungere altrove i figli e i nipotini. Ma c’è anche chi torna, fra i ragazzi, alla ricerca di uno stile di vita diverso da quello imposto dal mercato del lavoro (almeno quando si ha la possibilità di lavorare da remoto, connessioni internet permettendo).

Dal 2013 a 2023 gli abitanti perduti sono circa 13mila: un intero paese scomparso. A guadagnare abitanti, su 56 comuni, sono solo due realtà, Lipari e Malfa, in un territorio con peculiarità ben diverse rispetto ai borghi dell’entroterra, dove bisogna far fronte quotidianamente alla carenza asili nidi e strade, banche e negozi, opportunità di lavoro e benzinai.

Scenario tetro anche per quel che riguarda l’indice di vecchiaia, con i casi più eclatanti di Floresta, Malvagna, Roccella Valdemone e Motta d’Affermo, “medaglia nera” della provincia con un tasso di 597,40. Nel complesso l’indice di vecchiaia è pari a 279,43%: significa che ci sono circa 280 over 65 ogni 100 under 15.

Eppure ci sono degli esempi positivi, in giro per la Sicilia, come Ispica, la cui popolazione è aumentata nel giro di qualche anno di 2000 unità grazie agli immigrati stranieri, che hanno ridato una nuova vita alle case abbandonate. In provincia di Messina solo in un comune si registra un’alta incidenza di stranieri: si tratta di Floresta, in cui costituiscono il 7,4% della popolazione residente.

«Vari fattori hanno inciso negativamente nello sviluppo di un territorio con ricadute pesanti nella garanzia dei diritti, lo Stato non può abdicare al suo ruolo di garante di questi diritti – spiega il segretario generale Pietro Patti – Negli anni queste aree sono state abbandonate al loro destino senza un’azione efficace o strategie incisive d’intervento che potessero invertire la rotta, soprattutto sul tema dello spopolamento, che rappresenta uno degli elementi più impattanti negativamente per queste comunità. Sulle tematiche esposte nel report pensiamo sia importante aprire da subito questo dialogo di discussione e su questo proseguirà il lavoro di analisi e proposte della Cgil. È necessario non sprecare le risorse a disposizione a valere sul PNRR e degli altri fondi italiani ed europei, ma per fare questo bisogna sostenere i comuni e allargare la platea dei soggetti interessati dai processi decisionali».

“Questo report – commenta Stefania Radici – nasce per dire che il declino di queste terre non è frutto di un destino cinico e baro. Negli anni la politica si è disinteressata alla cura del territorio, alla cura del patrimonio artistico e culturale, alle attività produttive di quei luoghi, ai diritti delle persone che vi abitavano e ha lasciato che piano piano quelle aree si svuotassero, si spopolassero. Ad oggi  vi vive il 22% della popolazione, che in 10 anni è passata da quasi 146mila a poco più di 133mila. Meno abitanti significa meno servizi, sia pubblici che privati: meno presidi sanitari, meno scuole, filiali bancarie, filiali postali, esercizi commerciali, ma anche meno servizi di trasporto, meno attività produttive, meno lavoro. Un circolo vizioso, uno spopolamento che produce ulteriore spopolamento. Ma questo declino non è inesorabile e irreversibile. Per risalire la china, bisogna avere una strategia. A questi territori – osserva Radici – non servono o comunque non sono risolutivi, interventi episodici e una tantum, servono interventi integrati, che incidano sulla struttura dell’economia e della società, interventi che guardino ai bisogni di chi vi abita e di chi potrebbe venire ad abitarci (non dimentichiamoci che sono molti giovani con il lavoro da remoto, decidono di rientrare nei paesi di origine). E quindi in primis, strutture e servizi per il benessere della popolazione di tutte le fasce di età e di tutte le condizioni, e poi ripensare la propria economia, cogliendo le sfide della transizione ecologica e digitale, riconoscendo e valorizzando le risorse, materiali e immateriali, naturali e antropiche, di cui dispone il territorio nella sua interezza, nell’area, non nel singolo comune, promuovere reti tra imprese, aggregazioni e collaborazioni e favorire i processi con le necessarie politiche e misure: spazi, servizi, collegamenti, formazione, promozione, risorse finanziarie. Un processo di rinascita che richiede una collaborazione tra i comuni e la partecipazione delle comunità».

 

 

 

(foto in copertina dalla pagina Facebook del Comune di Floresta)

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