MESSINA. Diciassettesima puntata (qui le altre puntate) della rubrica che spiegherà ai messinesi perché il rione, il quartiere o la via in cui vivono si chiama come si chiama: un tuffo nel passato della città alla ricerca di radici linguistiche, storiche, sociali e culturali, che racconta chi siamo oggi e perché.

CAMARO (Camàru, Cammàri, e gli abitanti Cammarròtu o Cammaròti): Vallata, delimitata a monte dai Peloritani e a valle dal viale Europa, che prende il nome dal torrente che la percorre e che nella parte finale prende il nome di “Zaera”. Il torrente dà il nome al quartiere, che si divide in superiore e inferiore.

Varie le origini possibili, e più accreditate, del toponimo “Camaro”, uno dei 48 casali che circondano la città di Messina e uno dei quartieri più popolosi, identitari e antichi della città. Quella più accreditata fa derivare il nome Camaro dal termine Kamar, casa dei morti, che indicherebbe l’immensa necropoli classica che per almeno sei secoli fu in uso e certamente era ricordata anche nel Medioevo. La prima etimologia è relativa alla destinazione di parte notevole del bacino del torrente, accertata, che conferma che anche in età classica il Camaro era vicino all’abitato. Sebbene non siano molte le certezze archeologiche, l’orografia nel luogo conferma caldamente questa ipotesi per analogia con altri siti e con l’uso antico di realizzare necropoli in conpluvi stretti da rilievi.

La vallata era ricca di agrumeti, vitigni e uliveti, e serviva da riserva di caccia. Le antiche famiglie nobiliari messinesi (faraone, Bucca, Spatafora-Ruffo, Loffredo, Stagno- D’Alcontres) possedevano vaste proprietà con ville e terreni. Il Camaro alimentò il primo acquedotto messinese, progettato dall’architetto Francesco La Cameola nel 1550-1553. Per celebrare l’inaugurazione dell’acquedotto, il senato messinese chiamò il grande Michelangelo per costruire, nella piazza del Duomo, la fontana di Orione. L’artista, impossibilitato a recarsi a Messina, inviò lo scultore fiorentino Giovanni Angelo Montorsoli, che scolpì una delle più belle fontane del Rinascimento italiano. L’opera contiene, attorno ad essa, la personificazione di quattro fiumi: il Nilo, il Tevere, l’Ebro e il Camaro. Quest’ultimo è raffigurato insieme ad una donna – personificazione della città di Messina – che lo incorona. Su di esso è il seguente distico: Sum patriae famulus Cameris exortus aquosis/officio manant flumina tanta meo (“Son figlio di questa terra, nato dai monti Cameri ricchi di acqua, per opera mia sgorgano tanti zampilli”).

Un’altra ipotesi, meno probabile, fa derivare il toponimo dal nome del condottiero arabo Ibn Hammar (vissuto nel decimo secolo), che alcuni studiosi proponevano di identificare con il mitico Grifone che avrebbe spadroneggiato nella valle.  Si tratta di un’interpretazione più controversa per due ragioni: oltre a risultare poco credibile che i luoghi fossero chiamati con nome di un predone, la deformazione latina dei vecchi toponimi arabi (per non far perdere i riferimenti alla popolazione), pur essendo una costante sicula, è spesso legata a una prassi ad uso e consumo della cristianizzazione dell’isola che descrive come predoni gli arabi (che nel X secolo gli arabi avevano ben poco da depredare, essendo essi i padroni assoluti della Sicilia).  Il famoso Grifone, del resto, secondo la leggenda messinese si innamora della cristiana bianca (e cammarota) Mata,  come metafora di una conversione al cattolicesimo. A questa si collega un’altra curiosa leggenda, quella dei giganti Cam e Rea (di vaga assonanza con Camaro), la coppia fondatrice della città di Messina, che solo dopo, vennero richiamati come Mata e Grifone.

Meno gettonate sono altre due ipotesi sull’origine del toponimo: una di Giovanni Alessio, che si basa su un origine Greca, secondo cui il nome potrebbe derivare da una voce greca, che tradotta suona come (Cammàrion), che è il diminuitivo della voce greca che tradotta suona (Cammàros, Cammàris), che è una specie di pianta velenosa, l’aconito, come il bovese Cammari, cespuglio di “Euphorbia” alto da 2 a 3 metri. L’altra, di Giovanni Battista Pellegrini, che si basa invece su una origine Araba, e ipotizza che Camaro possa derivare dal termine arabo Himar  (asino”,) e ad altre derivazioni come asinaio, mulattiere (stesso significato di Bordonaro, che fra l’altro è a poca distanza da Camaro, e deriva dal greco burdonàrios “asinaio”).

Ultima teoria è, quella del filologo Giuseppe Vinci, dove da antichi scritti si accenna a delle “camere” nel casale di Cammari. Il Vinci, scrive che queste “camere”, potrebbero essere antiche piccole grotte, che erano diffuse sulle pendici collinari della Valle, oppure delle “camerelle”, piccoli ambienti abitati anticamente da eremiti, che vengono accennati nelle tradizioni locali.

Una curiosità. Una delle più celebri “muscle car” americane, automobili sportive e dotate di motori di grossissima cilindrata (6,2 litri nelle versioni più grosse), i celebri v8 tipici dell’industria automobilistica statunitense, è la Chevrolet Camaro, prodotta senza interruzioni dal 1967 e arrivata alla sesta serie. Così come per il quartiere messinese, anche per la macchina l’origine del nome non è nota. Secondo alcune riviste automobilistiche americane, il nome deriverebbe dal francese arcaico, e avrebbe significato di “amico, compagnone, persona a cui si è legati”. In realtà, la parola Camaro in francese non esiste. La casa madre, la Chevrolet, non ha mai sciolto il mistero.

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Giorgio
Giorgio
12 Gennaio 2020 17:11

Meraviglie del passato.