MESSINA. Quarta puntata (le prime quattro qui, quiqui e qui) della rubrica che spiegherà ai messinesi perché il rione, il quartiere o la via in cui vivono si chiama come si chiama: un tuffo nel passato della città alla ricerca di radici linguistiche, storiche, sociali e culturali, che racconta chi siamo oggi e perché.

ROCCAGUELFONIA, MATAGRIFONE. Roccaguelfonia. Rione. Tra la via Grattoni e la via Leopoldo Nicotra. Via. Da via delle Carceri alla via Beata Eustochia. Matagrifone. strada, da via Macalda Scaletta a via Pietra e Calcina; con il nome Mata è definito il rione a destra del torrente Camaro, nei pressi del ponte ferroviario.

Con i calchi Roccaguelfonia, Roccagrifonia, è uno degli storici toponimi messinesi che rimanda a notevoli momenti dell’epopea cittadina, primi fra tutti le vicende della permanenza a Messina, nell’anno 1190, di Riccardo I re d’Inghilterra, più noto come Riccardo “Cuor di Leone”. Il toponimo si evidenzia con diverse, talora corrotte, trascrizioni. Ad esempio castrum Matagryfphone citato da M. M. Arezzo (1723); castello di Maccagnifuni ricordato in un codice di F. Leonti (1891); castrum Metagrifonis copiato in un regesto da G. L. Barberi (1966).

Il significato del nome di luogo, da identificare nel sito del Sacrario di Cristo Re, nella bibliografia ufficiale è spiegato, riguardo alla prima parte, con la diffusa base mediterranea Meta / Mata, anche Mota, nell’accezione di altura, colle, monte, rilievo, sporgenza e, nella seconda parte, con il sostantivo grifone, rapace un tempo presente in Sicilia; forse anche il nome personale Guelfone, accrescitivo dall’antico tedesco Guelfo.

Secondo Domenico Puzzolo Sigillo, in Tre opportuni chiarimenti di toponomastica messinese (1926), si lega il conio del toponimo alla permanenza in Messina, nell’inverno dell’anno 1190, di Riccardo I d’Inghilterra in procinto di recarsi in Terra Santa nell’impresa della terza Crociata. Il sovrano inglese, meglio noto – si diceva – con l’attributo “Cuor di Leone”, per virtù di coraggio e magnanimità enfatizzati da una letteratura popolare tardo romantica, in realtà così definito a causa di un’indole feroce e crudele, venne in conflitto in Messina con la fazione greca cittadina in quel tempo di maggiore peso politico e militare rispetto alla fazione latina. Avrebbe pertanto re Riccardo fatta edificare (o restaurare) in fasciame e tronchi di legno dai genieri al seguito dell’esercito, la fortezza imminente la città storica affinché fosse “domatrice e dominatrice” del partito dei Greci, in quel tempo indicati talora con l’epiteto di Grifoni. L’evento è ricordato in alcuni versi della Cronique d’Ambroise conosciuta anche con il titolo L’Estoire de la guerre saint: “Le reis Richarz adonc feseit / Faire un ovre qui lui plaseit / Co est ub chastel, Mategrifon / Dont furent dolent li Grifon”, ovvero “Il re Riccardo faceva fare un’opera che gli piacque, cioè un castello, Mategrifon, di cui furono dolenti, i Grifoni”. Tale lettura ha, a tutt’oggi, autorevole e largo seguito.

È verosimile piuttosto, a parere dello scrivente, che Ambroise, l’ignoto colto cronista al seguito di re Riccardo, abbia semplicemente fruito del calco onomastico e quindi “ricalcato” il (preesistente) nome di luogo Matagrifone, personalizzandolo all’impresa del sanguinario Plantageneto nell’accezione mata grifoni, “ammazza greci”, rilevandolo giusto come “calco” filologico di una preesistente toponomastica locale e dando così origine alla paraetimologia riferita dal Puzzolo Sigillo che scrisse il proprio saggio – è bene ricordarlo – in un contesto culturale (correva l’anno 1926) in cui era di rito e apprezzata l’enfasi dell’identità nazionale. Detto questo, si è dell’avviso che il naturale acrocoro roccioso prospiciente la città storica, probabile acropoli della Messina greco-romana, per la stratificata valenza strategica del sito e non ultima quella antropologica poiché legato alla gemmata mitografia dei giganti Grifone e Mata (che da questo sito prendono nome e strutturano la propria vicenda di ecisti, fondatori della città), oltre che per una sorta di dibattito legato alla importante esegesi toponomastica (tutt’una, sinonimica, con Rocca Guelfonia), sia comunque meritevole di una adeguata e pluridisciplinare, introspezione.

La lettura di Meta / Mata / Mota è invece proposta da Giovanni Alessio in Saggio di toponomastica calabrese (1930), in Dizionario Etimologico Italiano (con C. Battisti, 1975): “[…] punto elevato fortificato, vivo nella toponomastica mediterraneo”, ancora in Dizionario di Toponomastica (con M. De Giovanni, 1990): “[…] nomi che sono riconducibili alla base oronimica preromana mat / met”. GiovanBattista Pellegrini ne discute nel medesimo testo: “[…] termine di origine preromana e venuto [in Sicilia, ndr] con i Gallo-italici, nel senso di elevazione”. La versione è altresì ribadita da Girolamo Caracausi in Stratificazione della toponomastica siciliana (1980) e in Dizionario onomastico della Sicilia (1993). La trascrizione Guelfonia, letta da E. Forstemann (1966) con possibile derivazione da Guelfo, è parimenti sostenuta da C. Battisti e ancora da G. Alessio (1975). Uguale tesi era già stata storicamente proposta e commentata da Giuseppe Vinci in una accurata scheda pubblicata nell’Etymologicum siculum (1759): “Matagriphuni, contracte matraffuni, castrum Messanae Urbi imminens in monte situm, id Mattheo Paris ad annum 1190 dicitur mategrifoin, quod idem est, ac mategrifum latinè castrum motagryphonis; nomen est a voce mota idest castellum in monte situm […], Mota collis, seu tumulus, cui inaedificatum castellum; hincliquet loca, quae vocantur motta, ut in Sicilia sunt Motta camastra, Motta di Fermu, Motta di S. Anastasia, fuisse castra in monte sita”.

È palese pertanto la lettura e convincente l’introspezione lessicale del dotto “protopapàs” della chiesa greco ortodossa peloritana: “[…] nomen est a voce mota idest castellum in monte situm […]”, ovvero, è bene ribadirlo: “[…] il nome deriva
dalla voce mota cioè castello edificato su di un monte […]”. Tale lettura è ribadita dal sinonimo Roccaguelfonia e dal diffuso prefisso toponomastico meta nell’isola e nel meridione della penisola.

Pubblicato per concessione della testata Messina Medica 2.0.

A cura di Carmelo Micalizzi, medico e scrittore. Classe 1953, ha pubblicato un centinaio di saggi, articoli e contributi sul territorio dello Stretto. Particolare riguardo ha dedicato alla Toponomastica storica peloritana e alla Storia della Fotografia messinese (dalle origini al 1908). Ha dato alle stampe due monografie su Antonello da Messina (2016, 2018). Cura la rubrica “Questioni di Lingua” per «Messina Medica 2.0», rivista on line dell’Ordine dei Medici della Provincia di Messina.

 

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Adriana Cannaò
20 Ottobre 2019 9:52

Grazie, Finalmente non leggo cavolate che rimandano alla leggenda dei Giganti.