MESSINA. Galati? Zona dʼespansione. Bordonaro? Anche. Le colline sulla Panoramica? Aree di complemento. Traduzione? Cemento. Su cemento. Il piano regolatore di Messina è questo, prendere o lasciare. A lasciare, in questi anni, non ci ha pensato nessuno. A prendere, invece, in molti, Troppi. Il risultato è che a Messina per dieci anni si è costruito talmente tanto che, secondo l’Istat, il 15% delle abitazioni non sono occupate. Poi, a fermare l’assalto al territorio ci ha pensato il mercato, con domanda azzerata ed offerta che di conseguenza si è adeguata. Ma dopo che gli scempi erano stati compiuti.

Tarato male sovrastimando la popolazione, azzoppato da settecento emendamenti e definitivamente massacrato sotto il machete delle altrettante osservazioni, il Prg approvato nel 2002 dopo un iter infinito iniziato nel 1998, ha permesso che si costruisse lì dove invece era meglio non farlo, per cento motivi.

L’ʼarea della Panoramica dello Stretto, per esempio. Nel 1976, il piano regolatore Tekne aveva previsto, a monte della strada, una fascia di ampiezza variabile tra i due ed i trecento metri di “zona di interesse naturale e paesistico”. A valle, a parte il borgo dei pescatori di Paradiso, comunque vincolato, i palazzi non potevano superare i due piani dʼaltezza. Un carico antropico sopportabile, quindi. Oggi, dalla foce del torrente Annunziata a Pace, i palazzoni sono spuntati come funghi. Perchè? Superato il borgo delle case basse di Paradiso, il piano regolatore attuale prevede, tra la litoranea e la panoramica, un’enorme zona di edilizia di complemento (contrassegnata dalla sigla B4d), per undici metri d’altezza e tre piani fuori terra, che prosegue senza soluzione di continuità lungo tutta la costa.

E’ andata peggio alle colline a monte della Panoramica, da Paradiso a Contemplazione, zona che da ”interesse naturale e paesistico” è diventata area di complemento B4c, con la possibilità di trarre dai fabbricati ben sei piani fuori terra per un’altezza massima di ventuno metri e settanta. Di più, in tutte le altre zone della città, il Prg non ne prevede. Nè piani, nè metri. Con costi, tra l’altro, esorbitanti. Perchè solo per evitare che le case scivolino a valle, raccontavano gli ingegneri all’epoca della corsa al cemento,  è stato necessario mettere in sicurezza le fondamenta con palificazione da diciotto metri.

Dalla “barbarie” non si è salvata nemmeno la laguna di capo Peloro. Lungo il lago grande, a monte le colline sono state “aggredite” dalle villette, risultato di un mezzo centinaio di piani di lottizzazione e di zonizzazione C4, C5 e C6, che prevedevano residenze stagionali con insediamenti ricettivi o strutture alberghiere, in una zona che di alberghi non ne ha visto mai mezzo.

Al centro, nonostante i vincoli più stretti imposti dallʼoriginale piano Borzì, si è assistito, e in qualche caso si assiste ancora, al festival del calcestruzzo. L’assalto maggiore si è concentrato sulle circonvallazioni. Lungo le quali il nuovo Prg si è barcamenato tra zone B1 (residenziali del centro urbano), e zone B4c di complemento. Cosa le accomuna? Solo l’altezza massima prevista, pari a ventuno metri e settanta, il massimo che il piano regolatore prevede. E se le zone di completamento hanno minore possibilità di edificarsi in altezza (sei piani consentiti), per le zone B1 c’è la festa del cemento: 7,00 di indice e sette piani fuori terra da edificare.

Eppure, allʼaltezza di via Noviziato, in viale Italia, il piano dʼassetto idrogeologico della regione assegna allʼarea una classificazione R4 (a rischio massimo) da bollino nero. Così come anche a Gravitelli, dove si è letteralmente scavata la montagna per incassarci dentro un paio di moloch di cemento. A Tremonti, altra zona impervia servita da una ex strada militare larga tre metri, a fronte di una pericolosità nella media, la regione affibbia un bel 4, il massimo, dal punto di vista del rischio. Motivo? Lʼimbarazzante densità abitativa.

Resta la zona sud, che “di pregio” non è mai stata considerata, anche per scelte urbanistiche folli prese decenni addietro. Questo non ha fermato l’assalto dei palazzinari. Il piano Tekne aveva provato invano a mettere un po’ d’ordine, con ampie zone di completamento tra la via Bonino e la ferrovia, intervallate da aree industriali e miste residenziali/commerciali, a partire dai confini del piano Borzì per arrivare oltre Tremestieri, con le uniche zone d’espansione C1 localizzate dentro l’abitato di Mili. Oggi invece è il caos: all’interno di quella che era una zona omogenea a vocazione industriale, stretta tra le fiumare San Filippo e Zafferia, l’attuale Prg ha invece frammentato le aree. All’interno dello stesso perimetro, infatti, convivono zone sature e industriali, urbane di interesse ambientale e di complemento. Col massimo indice di edificabilità.

Negli ultimi cinque anni, la crisi del mattone ha impedito che si continuasse a costruire indiscriminatamente. Il danno, però, è già stato fatto. Ed è irreversibile.

Subscribe
Notify of
guest

3 Commenti
meno recente
più recente più votato
Inline Feedbacks
View all comments
Stello Vinci
Stello Vinci
22 Aprile 2018 9:57

Due esempi che invito a vedere e su cui riflettere sono il palazzo in costruzione in viale Italia a qualche decina di metri dalle scale Acqua del Conte e quello che spicca in altezza in fondo a via Mariano Riccio

trackback

[…] e fiumare (in massima parte edificate le prime e “tombate” le seconde), che soprattutto dall’opera di antropizzazione (leggi cementificazione selvaggia e assenza di opere di urbanizzazione). E quindi la domanda non è […]

trackback

[…] MESSINA. Otto chilometri di colline chiuse da due strade, la via consolare Pompea e la Panoramica dello Stretto. Otto chilometri di litorale con una coerenza storica e urbanistica spazzate via dalle nuove edificazioni. Perché il rapporto tra le case dei pescatori e del popolo, che si affacciano lungo la riviera, e le ville padronali, a mezza collina, da qualche anno non ci sono più, affogato dal cemento delle lottizzazioni determinate dalla variante al piano regolatore generale del 2002. […]