MESSINA. Per comprendere appieno il pessimo risultato di Forza Italia basta un numero. Tre. Quanti sono attualmente i candidati a sindaco di Messina, espressione di tre diverse anime del centrodestra: tutte aree che, incidentalmente, se ne sono state con le mani in tasca a veder scorrere una campagna elettorale in cui quel poco che si è giocato, da parte del partito, è stato il nome di Silvio Berlusconi. Solo il nome, non la presenza. Non è un caso se a Messina il Pd, che pure ha ottenuto un risultato disastroso, ha portato tutti i suoi numeri uno nel giro di una settimana, e di leader forzisti nazionali, ammesso che ne esistano, non se n’è vista neanche l’ombra, lasciando a Matteo Salvini il compito di sostenere l’intero peso della coalizione.

E così, quella che per la volenterosa Matilde Siracusano doveva essere una vittoria facile, si è tramutata in una sconfitta che, seppur non sostanziale (la candidata di Forza Italia arriverà ugualmente a Montecitorio in virtù dell’inserimento nel listino e persino della presenza in un collegio palermitano), non fa che sommarsi ai malumori che da tempo dilaniano il partito “fantasma”.

Su tutto e tutti c’è Francantonio Genovese, che due anni e qualche mese fa si è impadronito del partito, travasando numeri e persone facendolo tornare ad essere una forza con cui fare i conti: la sua, di forza, si è vista coi dodicimila voti coi quali ha fatto sì che il figlio ventunenne Luigi Genovese arrivasse all’Ars come primissima esperienza politica.

E basta. Perchè questa campagna elettorale ha visto un ostentato disinteresse dell’ex sindaco di Messina, non troppo a suo agio dentro un partito che ha posto il veto sulla candidatura del cognato Franco Rinaldi, e gli ha preferito sangue nuovo ma catapultato nell’agone politico senza esperienza. Esattamente il motivo per il quale Emilia Barrile ha volto il suo sguardo verso un’alleanza con il deputato regionale Tommaso Calderone, diventando di fatto una “corrente” in un partito che ne ha tante: e la corrente fa venire i malanni. Non esattamente quello che serve a un partito che fa registrare troppi “mal di pancia”.

I “soldati”, quelli che per anni hanno tirato la baracca e portato voti, hanno ringhiato quando le candidature sono state ufficializzate, e lamentano che il loro ruolo non è stato riconosciuto. I “generali” mugugnano e hanno sentito come un’imposizione i diktat arrivati da Roma e Palermo. I componenti della “base”, ammesso che Forza Italia ne abbia mai costruita una, leggono i nomi sulla scheda e faticano a riconoscerne qualcuno. Le chiacchiere nei corridoi parlano di telefoni che non squillano come una volta, e di segreterie non più affollate come in passato.

Adesso c’è da trovare la quadra tra le ambizioni da sindaco di Pippo Trischitta (e la volontà di riscatto della corrente ex Alleanza nazionale che fa capo a Salvo Pogliese), la candidatura che sa tanto di provocazione e sfoggio di muscoli di Emilia Barrile, e quella di Dino Bramanti, che arriva direttamente dalla volontà, già espressa in passato, della deputata regionale Elvira Amata di compattare lo schieramento. Ma che ha avuto l’effetto opposto. Lo schiacciasassi a cinque stelle ha fatto il resto.

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