MESSINA. Bionda o scura? In bottiglia o alla spina? Lager o “pale ale?”. Non importa. Basta che sia messinese. Una passione, quella per la birra, che da qualche anno ha conquistato la provincia e la città dello Stretto. Che per la bevanda ambrata ha una tradizione quasi centenaria.

Messina, la terra dello storico “Birrificio Messina”, una tradizione portata avanti dal 1923 e destinata a cessare nel 2007 dopo essere stata acquistata nel 1988 dal gruppo Heineken Italia S.p.A. Oggi, la sua memoria è ricordata dal nuovo Birrificio Messina, aperto da quindici operai licenziati dalla precedente gestione che hanno investito le loro risorse economiche, umane e professionali per la produzione della “Birra dello Stretto” e delle sue sorelle.

E’ sicuramente la realtà più conosciuta nel nostro territorio, ma non è l’unica. Altri sette birrifici, infatti, si cimentano in questa antica arte in città e provincia: il birrificio “Sikania” (che produce la “Birra Minchia”), l’“Irias”, il “San Bull”, l’“Horus Mylae”, l’“Epica”, il “Rock Brewery” e il “Kottabos”. Tutte birre artigianali, ovvero che non vanno incontro a due processi che sono la pastorizzazione e la filtrazione. Quindi, interamente naturali.

È il 2013 l’anno di nascita dei birrifici “Irias”, “Horus Mylae” ed “Epica”. Il primo è sorto per valorizzare i prodotti del territorio siciliano, tanto che vanta di usare solo ingredienti prodotti da sé: «Dal 2017 – racconta il birraio Salvatore Blandi – siamo diventati un’azienda che produce nei propri terreni l’orzo e il frumento necessari per la birra». Che pe questo ha un sapore tutto siciliano. Il birrificio è anche vincitore di molti premi: ha vinto per due anni consecutivi la medaglia d’oro al “Concours International de Lyon” con le birre “Nigra” e “Ambra”, e si è classificata 1° al “Parco Nazionale di Assaggio delle Birre” con la birra “Aura” e  2°nel 2015 con “Indica”. In più producono l’unica birra artigianale siciliana senza glutine (la “AmbraLibre”) e al fico d’india (l’“Indica”). I

Horus Mylae, è invece frutto di una passione nata all’interno di un laboratorio di chimica, dove è stata prodotta una birra sperimentale per studiare il lievito. Oggi, quell’esperimento è diventato il birrificio di Marco Capone.

Il terzo, Epica, nasce dall’amicizia dei tre soci Elio, Piero e Carmelo (da cui deriva anche il nome “Epica”), con l’obiettivo di ottenere un prodotto nuovo e genuino, contaminato solo dai sapori che la terra offre in ogni periodo dell’anno.

Il 2015 è invece l’anno del birrificio “San Bull”, con una birra aromatizzata da un luppolo coltivato in house,  e del birrificio “Kottabos”, con sede a Rocca di Capri Leone.

I birrifici più giovani sono il “Rock Brewery” e il nuovo “Birrificio Messina”, che, nonostante sia stato aperto da poco più di un anno, vanta un background di 100 anni e mantiene viva la memoria dei nonni birrai. «È grazie a questa esperienza centenaria che possiamo garantire un prodotto che non delude le aspettative del bevitore”, affermano. Rock Brewery invece si trova a Brolo e anche se è nato da poco già annuncia le sue prime sorprese in primavera e in estate, con “due birre fuori dagli schemi”, affermano i proprietari.

La birra più “veterana” (risale infatti al 1980), tuttavia, è la birra “Minchia”, nome siciliani d’origine controllata e prodotta dal birrificio “Sikania”, con una lunga tradizione per la birra alla spina. Prodotto semi-industriale, è filtrata a centrifuga invece che col filtro a 0.45 micron, e viene sottoposta a pastorizzazione flash.

Smerciate a Messina e Provincia, quasi tutte le birre sono distribuite nel resto dello Stivale, ma solo alcune vengono esportate anche all’estero, come per esempio la “Irias”, che ha una piccola esportazione a Parigi, o la “Rock Brewery”, che da poco ha iniziato ad esportare oltre i confini italiani. La “Birra dello Stretto”, invece, è in procinto di concludere alcuni contratti esteri.

Ma cosa ci vuole per produrre una buona birra? Innanzitutto gli ingredienti di qualità, con la valorizzazione dei prodotti locali, come nel caso del “Birrificio Messina”, che utilizza solo acqua, luppolo e malto, eliminando alla radice i “surrogati più economici”. Ma a svolgere un ruolo fondamentale è l’acqua e la differenza sta nella mineralità, che dipende dal tipo di birra che si vuole realizzare: «Ci sono birre che richiedono acque più dure e altre che ne richiedono di più morbide», spiega Capone. di Horus Mylae. A questo proposito, i birrifici fanno un’accurata selezione dell’acqua di cui usufruire: l’“Horus Mylae”, per esempio, utilizza l’acqua del fiume Mela, il “San Bull” quella dell’Alcantara e l’“Epica” quella dei Nebrodi.

L’’ingrediente che più accomuna tutte le birre di Messina? La passione, senza dubbio: il termine più ricorrente tra chi lavora acque, luppoli e malti per dare vita alla bevanda ambrata e schiumosa: una passione che nasce da un semplice esperimento o da una tradizione che diventa una professione.

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Marina
Marina
18 Febbraio 2018 10:02

La birra minchia non è artigianale, ma semi-industriale, infatti è filtrata a centrifuga invece che col filtro a 0.45 micron, e viene sottoposta a pastorizzione flash.
By, la tirocinante del Mastro Birraio della Minchia.

mm
Editor
18 Febbraio 2018 13:25
Reply to  Marina

Grazie, aggiunto

Marina
Marina
18 Febbraio 2018 17:35

Prego ?

Andrea Denaro
Andrea Denaro
19 Febbraio 2018 17:00
Reply to  Marina

Salve, sono Andrea Denaro, il giornalista che ha scritto l’articolo. Nonostante le numerose richieste, non ho avuto alcuna risposta alle domande inviate tramite mail, pertanto, le informazioni inserite nel pezzo riguardo la birra “Minchia” sono basate su quanto scritto sul vostro sito internet.