MESSINA. «Ho litigato con mia moglie/ pe venì sta ser ca / pe fà’ammor na mezzorʼ / ind’ù liett e chillu la…». Molti nemmeno lo sanno. Altri sì, ma preferirebbero non saperlo. Eppure, per centinaia e centinaia di messinesi, il 29 ottobre (era previsto ieri sera, ma è stato rinviato) andrà in scena a Santa Margherita l’evento musicale più atteso dell’anno: il concerto del catanese Gianni Celeste, uno dei più celebri ed amati cantanti “napoletani” nati in Sicilia, autore di brani come Lʼinfermiera di notte, Te Credevo Sincera, Non La Tocco Più, Lʼamante. Tormentoni musicali che risuonano ormai da decenni nei quartieri popolari di Messina, trasmessi a tutto volume nelle viuzze delle borgate e nelle auto in corsa con gli stereo a palla.

Il genere si chiama “neomelodico”, e seppur sia universalmente conosciuto come “musica napoletana”, è da tempo parte integrante della tradizione popolare messinese e siciliana, tanto che alcuni dei suoi più illustri esponenti sono proprio dei conterranei di Sciascia e Camilleri. In barba a un idioma dalla storia millenaria, sono centinaia infatti i cantanti locali che hanno deciso di soppiantare la lingua siciliana con il dialetto di Pulcinella, ben più appetibile sul mercato nazionale. E soprattutto molto più remunerativo.

L’origine della canzone napoletana ha origini molto antiche. Nata intorno al XIII secolo come espressione spontanea della contraddizione tra le bellezze naturali e le difficoltà oggettive della vita, si sviluppò dapprima nel ‘400, quando la lingua napoletana divenne lʼidioma ufficiale del regno, e ancor di più dalla fine del ‘500, quando la “villanella alla napoletana” conquistò l’Europa.

«Il motivo che spinge tanti miei conterranei a cantare in dialetto napoletano – spiega il più celebre fra i cantanti neomelodici messinesi, Natale Galletta, in un’intervista rilasciata qualche anno fa a Marino Rinaldi sul settimanale “Centonove” – è la differenza abissale che cʼè fra le due tradizioni musicali. È vero che in Sicilia ci sono tanti splendidi pezzi in lingua, ma è del tutto assente quel background artistico che si è creato a Napoli e in tutta la Campania nel corso dei secoli. Personalmente – racconta Galletta – considero la canzone napoletana la mamma della canzone italiana. Per quanto riguarda il forte appeal in Sicilia cʼè da considerare che la nostra terra e la Campania hanno in comune parecchi trascorsi storici e gioco forza culturali. Basta pensare al Regno delle Due Sicilie».

Il pioniere dei cantanti siciliani in terra campana fu il palermitano Toni Bruni, ancora oggi indimenticato, tanto che nella versione dialettale di Wikipedia, digitando il suo nome, si trova un vero epitaffio di riconoscenza: “È stato nu granne da canzona partenopea pure essenno palermitano, ma era assaje attaccato â cità ‘e Napule artisticamente parlanno, era llà ca isso truvava appavamiento e veneva accrammato pe chillo ca era: nu granne artista“.

«La mia grande passione per la musica napoletana nacque proprio grazie a Bruni – ricorda Galletta – lʼartista che aprì le porte ai tanti esponenti siciliani, come ad esempio Carmelo Zappulla o Gianni Vezzosi, che hanno contribuito al successo della canzone neomelodica». Passione che portò il cantautore messinese a incidere il primo disco di una carriera ormai trentennale a soli dodici anni: “Sì ‘a vita mia”, che vendette ben 10mila copie.

Vero e proprio enfant prodige della canzone neomelodica siciliana è il 31enne Tony Colombo, palermitano: «A 8 anni io già cantavo. La musica è nata con me. Il mio battesimo di fuoco è stato a Palermo, quando mi sono esibito con Mario Merola, che alla fine del concerto mi ha dato 50mila lire. Da lì ho capito che la mia vita sarebbe stata basata sulla musica», spiega il giovane palermitano.
Ma cosa porta un ragazzo siciliano a cimentarsi nella musica neomelodica? «Napoli rappresenta l’origine della musica italiana e la Sicilia è tradizionalmente una vetrina-gemella. Siamo parte di una stessa famiglia e tutti tifiamo gli uni per gli altri. Non siamo come i rapper che si offendono tra loro a suon di musica. Noi facciamo a gara al suono dei sentimenti. Spesso addirittura ci ospitiamo tra noi nei concerti».

Ma di cosa parlano le canzoni napoletane? A far la parte del leone sono i temi amorosi, con rapporti tormentati, ma c’è spazio anche per strazianti racconti di vita ambientati nelle periferie più disagiate, con storie di carcerati nostalgici e delitti dʼonore. Argomenti che nell’immaginario comune hanno creato un’associazione fra i brani neomelodici e la criminalità organizzata.

«La musica napoletana è troppo bistrattata, ci snobbano, ci considerano cantanti di serie b. Noi cantanti napoletani– spiega Natale Galletta – veniamo spesso associati alla mafia o alla camorra. Sovente veniamo accusati persino di “celebrare” la vita criminale, ma le cose non stanno così. La colpa di questa nomea è da imputare ad alcuni miei colleghi che effettivamente hanno trattato nei loro testi tematiche scomode. Per quel che mi riguarda – prosegue Galletta – io ho sempre cantato sempre e solo lʼamore in tutte le sue sfaccettature. Certo, a volte mi è capitato di suonare in alcune cerimonie di persone appartenenti alla malavita, ma a mia insaputa. Mica chiedo la loro fedina penale…». «Io canto il sentimento – ribadisce Tony Colombo – lo struggersi per qualcuno. Sono un cantautore e spesso le mie canzoni nascono direttamente dal mio vissuto. Le mie, lo ripeto, sono solo canzoni d’amore. Poi non posso vietare di ascoltarle all’avvocato onesto così come al malavitoso».

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pippolipari
pippolipari
2 Ottobre 2017 16:54

Con sommo piacere ricordo nel mio appartamento da studente fuori sede a Milano il poster di un raggiante Gianni Celeste con catenone d’oro accanto a quelli di Pink Floyd, John Lennon e compagnia…