Anciova

 

L’acciuga, a Messina, è una sorta di divinità, una specie sacra al pari delle mucche per gli indù. E, come ogni divinità degna di tal nome, c’è chi la venera al punto da bramare una granita anciova e panna, e chi invece la detesta a morte, commettendo il peccato – punibile con la pena capitale, previa fustigazione in pubblica piazza – di scartarla da ogni pietanza. Alfa e Omega di ogni piatto tradizionale, dai pitoni (o pidoni?) alla focaccia,  è il trionfo della sapidità tout court, quel quid  culinario che ha il potere di trasformare una semplice fetta di pane azimo in un’orgia indiscriminata nelle papille gustative. Del resto, è risaputo: il sale is for boys, l’anciova is for menE chi lo nega, chi se ne priva, deve far parte gioco forza di quelle sette di fanatici religiosi che si puniscono a colpi di scudiscio.

Questione culinaria – e civile – a parte, il termine è una delle testimonianze più autentiche e incontrovertibili delle origini messinesi del Bardo William Shakespeare. Dopo averla confutata, siamo costretti a cospargerci il capo di cenere di fronte all’evidenza: com’è risaputo, infatti, il termine inglese anchovies fu introdotto oltre Manica proprio dal nostro Scrollalanza. E se ciò non bastasse, ecco la prova del nove (e del nome):  la perfida Albione ci ha rubato anche la pronuncia di albicocca, chiamando apricot le nostre succose pricope.

 

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