Mammafausa

 

“Mammafausa” non è solo un termine dialettale. È una sorta di stargate. Un portale spazio-temporale in grado di riportarti con la mente agli anni spensierati dell’infanzia, quando le parole erano ancora così giovani e incontaminate che sembravano formule magiche, codici esoterici, misteriose chiavi di volta per decodificare il mondo.

Crescendo poi le si dimentica, certe parole, lasciandole accatastate per decenni in uno dei tanti scatoloni bui in cui rinchiudiamo le cose che non usiamo più. Finché, chissà perché, quei termini ci tornano improvvisamente in testa, e quella parolina astrusa dal significato arcano – come ogni combinazione alchemica che si rispetti – diviene la nostra madeleine per un viaggio a ritroso nel tempo perduto, proprio come il soffice dolcetto francese a forma di conchiglia nel capolavoro di Proust.

Ed ecco quindi via dei Carrai, “la strada dei pecorai”, i primi anni ’90 e le notti magiche del mondiale, il numero 10 di Baggio sulla schiena, le partite interminabili a Street Fighter, i pomeriggi trascorsi in strada a dare calci a un pallone o a spallicchiarsi le figurine a vicenda, con le ginocchia sbucciate, le scarpette con gli occhi e le chiazze di Mercurio Cromo sulla pelle che erano come i gradi degli ufficiali. Più ne avevi, più fico ti sentivi. 

Tempi di un’altra era, senza social network, senza telefonini, senza chat. Quando gli amici per cercarti telefonavano a casa o ti suonavano al citofono. E poi i giochi: campanaccio, strega comanda colore, ventuno, nascondino soprattutto, con tecniche di mucciamento da fare invidia a un soldato dei reparti speciali.

E se poi il gioco prendeva una brutta piega, se qualcosa andava storto, se qualcuno commetteva una scorrettezza, eccola lì la parolina magica che rimetteva tutto a posto. Alt gioco. Ci si ferma.

Anche adesso vorresti che fosse così. Quando le cose vanno male, quando avresti voglia di ricominciare daccapo e speri di poter sistemare le cose urlando con tutta la forza che hai in gola quel lessema composito dai poteri occulti: “Mammafausa!”

Ma invece no. Purtroppo adesso non funziona più.

 

 

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Sergio Todesco
Sergio Todesco
3 Maggio 2017 19:10

very good!

Maria
Maria
3 Maggio 2017 23:13

Mammafausa mi ha fatto ricordare di un gioco che facevamo da bambini forse era a “nascondino”?

Ivano Rotondo
Ivano Rotondo
4 Maggio 2017 0:22

mi hai fatto ridere, bravo!
al prossimo giro mettici dentro anche “masticante”, un capolavoro senza tempo

pippolipari
pippolipari
5 Maggio 2017 10:17
Reply to  Ivano Rotondo

quoto! “masticante” è un capolavoro linguistico messinese doc!

Alfio Lanaia
Alfio Lanaia
4 Maggio 2017 12:25

Mi sembra come minimo esagerato il sottotitolo (parole con la M che esistono SOLO (sic!) a Messina), dal momento che alcune parole (minarsela, manciaçiumi) sono almeno pansiciliane. In questi casi, invece di Wittgenstein, basterebbe un vocabolario dialettale per rendersene conto.

Giovanni
Giovanni
4 Maggio 2017 21:54

“Milla” che bell’articolo!!

Giovanna
Giovanna
4 Maggio 2017 22:20

Suffareddu. Lo dice sempre mia mamma ai miei figli. Ma chi aviti u suffareddu ‘nto culu? Per indicare la loro irrequietezza e l’ essere molto vispi.

Sciabbacheddu oltre per indicare il pesce, serve ad indicare la presenza in un luogo di ragazzini.
‘Nto viali oggi c’era un saccu i sciabbacheddu

pippolipari
pippolipari
5 Maggio 2017 10:15

Grande Marino! …alla voce “minarsela” aggiungerei l’evocativo (e mai sentito altrove) “minarla alle bratte” (dicasi di azione inutile, inconcludente)