Palermo apre le danze, Catania le chiude: in mezzo un trionfo asiatico. È il lembo finale della via Placida, quel tratto che volge al viale Giostra. Un caleidoscopio culinario e culturale. Un perfetto esempio di integrazione spontanea. Se la via Palermo infatti è ormai una China Town,  questi tre isolati ricordano, in versione miniatura, la famosissima Brick Lane, la via ricolma di odori e colori sud asiatici che attraversa l’East end londinese.

Ma in questa versione nostrana c’è di più: l’offerta culinaria orientale si mischia al cibo da strada siciliano trasformando il palato nel tempio dell’integrazione razziale.

 

 

Cibo da strada e da Muricello. Adolfo Diliberto è dentro e fuori contemporaneamente. Ha un chiosco sulla strada e una bottega all’interno dello storico mercato messinese. Pane e panelle o con la milza ma anche pasta con le sarde, il noto sfincione (versione palermiatana della nostra focaccia) tutto cucinato da un palermitano doc, ex maresciallo dell’esercito in pensione: «Mi metto qui fuori per cercare di attirare gente all’interno perché il mercato la sera è quasi vuoto». Sono sei le botteghe sfitte all’interno, nonostante i lavori di ristrutturazione del mercato abbiano ridato nuova “luce” alla struttura. Rifatto il lucernaio che oltre a proteggere dai piccioni illumina l’interno della struttura storica. Pure il pavimento è stato rinnovato anche se non sembrano in molti a calpestarlo. Eppure in tutta Europa impazza la moda dei mercati in cui si può acquistare il cibo ma anche sedersi a mangiare o soltanto assaggiare alcune pietanze. Tra tutti il mercato di San Miguel a Madrid, ma gli esempi si moltiplicano cammin facendo. Messina ne ha già uno. All’interno del Muricello le panelle con il richiamo fuori del chiosco di Diliberto: «Aspettiamo che il Comune cambi la destinazione d’uso. Devono darci una mano: stiamo aspettando ancora che decolli». Accanto alle panelle o allo sfincione, all’interno del Muricello anche le specialità filippine: fagottini ripieni di tonno, patate e cipolla, altri di carne di vitello. Quel mercato sito nel cuore di un quartiere multietnico è una straordinaria opportunità per ricchezza e varietà. Un’opportunità ancora inesplosa che grida aiuto: «Siamo qui da un anno e mezzo. Di mattina c’è più gente ma nel resto della giornata resta vuoto ed è un peccato», racconta anche Roshan, che gestisce il chiosco all’interno del mercato assieme alla moglie Jenipa. Quando andiamo, sono loro, originari delle Filippine, in Italia da 13 anni, ad avere gli unici clienti all’interno, mentre Diliberto li raccoglie fuori, dove però restano.

 

 

Qualche passo più in là un italiano, Agostino De Caro, entra all’Asian Choice per mangiare delle frittelle che «sono come dei Falafel ante litteram, si chiamano wade» spiega De Caro in perfetto Srilankese. Ed è in questo Asian Choice – una sorta di rosticceria – che alcuni avventori ci tengono a raccontare la storia della chiesa di Sant’Elia: «Era nell’abbandono, noi abbiamo fatto tutti i lavori, e ora ci autotassiamo per mantenere le spese». È lì che vanno per pregare una religione che è esattamente la nostra: «Sono cattolica io», dice la proprietaria dell’Asian Choice. Ogni domenica, proprio alle spalle della Santa Maria Alemanna, celebrano messe, battesimi, comunioni, prendendosene cura, spiegano loro.

Praticano la religione cattolica e lamentano come tutti: “C’è troppa immondizia per strada”.

Due passi più in là dell’Asian choice l’alternanza si ferma ai piedi dell’Etna: «Ca’ semu a Catania», dice Alberto Molonia. E ad annunciare su strada l’inserto etneo è già la riproduzione di un cavallo. Molonia, attenzione, è messinese (nipote del noto carrozziere), ma «tutta la carne che porto viene direttamente da Catania». Dove, si sa, ne vanno matti. Ma pare piaccia pure sullo Stretto: «Siamo in tre in tutta la città: io qui, poi un punto al Santo e un altro a Provinciale», racconta Molonia. E continua: «Lavoricchio, non mi lamento, ma si potrebbe fare di più, la carne di cavallo è la più tenera».

 

Panelle, sfincioni, fagottini di tonno filippini, wade, malu rolls, carne di cavallo. Ma non manca la classica selezione di pesce dello Stretto: «Abbiamo una sacco di clientela non italiana», racconta Natale Tomasello. «Vengono soprattutto per i tonnetti, lo sgombro, il palamido». 

Perché sono cento metri di varietà culinaria dove lo street food asiatico si mischia a quello siciliano, dove i siciliani comprano wade e gli asiatici lo sgombro. Ma si può far da sé anche col cibo orientale. L’asian market, appena svoltato l’angolo, direttamente sul viale Giostra, vende alimenti asiatici, tipicità sri lankesi come il riso rosa, il riso rosso o quello senza amido. Alla cassa c’è Solani, 27 anni, a Messina da dieci anni, dove ha raggiunto il padre e dove è nato il fratello: “Mi piace stare qui. La città è bella, vorrei solo ci fossero più spazi verdi”.

Solani accoglie all’ingresso dell’Asian market con perfetto accento italiano e la bellezza tipica del sud-est del mondo. Ad entrare molti italiani per acquistare prodotti altrimenti difficili da reperire.

Una varietà che permette anche di cimentarsi in cucina e provare le ricette dell’altra parte del mondo. Magari chiedendo consiglio in via Placida.

 

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