ROMA. La relazione della Corte dei Conti, l’ultima della serie, sulla Stretto di Messina, società che dal 1981 avrebbe dovuto costruire il Ponte di Messina, lo scrive chiaro: la Spa (in liquidazione dal 2013) chiede 325 milioni di euro a causa del “pregiudizio scaturente dalla mancata realizzazione dell’opera, indotta dal venir meno della convenzione di concessione”. Lo scrive, dandogli grande enfasi, Sergio Rizzo per il Corriere della Sera di ieri, lunedi 23 gennaio. La Stretto di Messina (81,85% di Anas, 13% di Rfi, 2,75% ciascuno delle regioni Sicilia e Calabria) questo indennizzo lo chiede al ministero delle Infrastrutture. “Dunque è lo Stato che fa causa allo Stato”, scrive Sergio Rizzo.

Ma esattamente, cosa ha fatto la Stretto di Messina dalla fondazione ad oggi? Ha tirato a campare, letteralmente. Lo spiega la stessa Corte dei Conti nella relazione del 2009 che fotografava l’attività della società per azioni: ad oggi, la Stretto di Messina Spa è costata ai contribuenti 300 milioni di euro che, scrivono i magistrati contabili, “appaiono essere stati sostenuti dalla s.p.a. per le finalità assegnate istituzionalmente dalla legge e per le esigenze operative di funzionamento”.

Praticamente, scrive la Corte dei Conti, dal 1981 al 2005 la Stretto di Messina ha speso solo per garantirsi la sopravvivenza prevista dalla legge istitutiva. E dopo il 2005? Il consorzio Eurolink si aggiudica l’appalto da general contractor, e da lì iniziano le gare, le progettazioni e le prestazioni. Così, dal 2005 al 2013, anno della liquidazione, i costi sono aumentati vertiginosamente, raggiungendo la cifra astronomica di 283 milioni di euro, dopo che per accumularne 128 c’erano voluti ventiquattro anni.

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Come è stata spesa questa massa di denaro pubblico? Allegramente, verrebbe da dire guardando al bilancio del 2005, in cui l’allora presidente della Stretto Spa Giuseppe Zamberletti informava gli azionisti della società, riuscendo a restare serio, che a bilancio erano stati iscritti 78mila euro di fotocopie e quasi 50mila di “riproduzione foto e filmati”, che erano stati spesi 172 mila euro per buoni pasto del personale (composto da ottantacinque unità, nel 2005), che c’erano costi di gestione per 113 mila euro di riscaldamento, acqua ed energia elettrica, e 280 mila euro per viaggi e trasferte. Una gestione non oculatissima, e infatti, nel bilancio del 2010 si trova iscritta una perdita d’esercizio che si attesta sul milione di euro.

Dalla situazione politicamente altalenante (governi di centrodestra che acceleravano e di centrosinistra che frenavano), a farne le spese è stato il consorzio Eurolink, guidato dal colosso Impregilo, che nel 2010 aveva speso 54 milioni, accumulando però debiti per 92. “Ottantasei milioni in più rispetto al 2009”, puntualizzava la relazione allegata al bilancio del 2010: quello, cioè, in cui è entrata a pieno regime la progettazione definitiva del Ponte sullo Stretto. Verso i fornitori, Eurolink iscriveva debiti per trentaquattro milioni e mezzo di euro, che diventavano oltre cinquantasette nei confronti dei consorziati: chi, materialmente, ha redatto il progetto definitivo del ponte.

Chi sono? Innanzitutto Impregilo, il capofila, col 45% delle quote, che ha speso oltre 24 milioni e mezzo in progettazioni, più 213mila euro per la variante di Cannitello, unica opera collegata al ponte che dalla carta sia approdata alla realtà. Dieci milioni e 200 mila euro Eurolink li doveva alla Sacyr, otto milioni e 200 mila euro alla Condotte d’acqua spa” oltre sette milioni alla Cmc coop, tre milioni e 200 mila euro alla Ishikawajima-Harima heavy industries e qualche spicciolo più di un milione alla Argo costruzioni. Su 92 milioni, quindi, 57 erano di costi di progettazione delle società azioniste di Eurolink. E gli altri 35? «Principalmente riferiti alle prestazioni rese per la redazione del progetto definitivo» da parte di società e studi che non fanno parte del consorzio Eurolink.

Oggi Eurolink chiede indennizzi per circa 700 milioni di euro: trecento per le spese e altrettanti per i danni.

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Roby
Roby
25 Gennaio 2017 12:21

Ma che articolo è? Ci si scandalizza per 330 milioni che hanno portato ad avere un progetto definitivo e cantierabili, E non si guarda quanto è costato il Mosè, o la brebemi o le varianti di valico? Anche quelli sono soldi nostri ma siccome sono al Nodde quelli se li possono prendere per fare doppioni! Continuando a ragionare così non crescere mai!!

Marco
Marco
25 Gennaio 2017 13:09

Articolo vergognoso.. Lo scandalo é che a fronte di denaro speso giustamente per un progetto definitivo, il ponte non sia stato realizzato. Un’opera di importanza strategica e vitale per la nostra economia, osteggiata da potenti lobbies che hanno interesse affinché la Sicilia sprofondi sempre di più nel baratro economico e nel profondo Medioevo.. Ringraziamo sentitamente anche i siciliani che come lei contribuiscono attivamente allo sfascio !!

Giacomo
Giacomo
26 Gennaio 2017 18:18

Caro Dott. Caspanello. Il progetto definitivo di un’opera è quello sulla base del quale si affidano i lavori e si aprono i cantieri. Il vero assurso è pagare progetto e penali senza fare il ponte e lasciando la Sicilia senza treni veloci. Co n 3 miliardi di costi anno interamente pagati da noi tra voli e navi, mentre i poveri viaggiano in corriera. E’ vero: è vergognoso pagare progetti e penali senza fare il ponte. Si faccia.