MESSINA.  Un paio d’ore in camera di consiglio, e la Corte d’Assise si è pronunciata: accogliendo la richiesta del pubblico ministero Pietro Vinci, Faouzi Dridi è stato condannato all’ergastolo per l’assassinio della moglie Omayma Benghaloum. La donna, trentatreenne tunisina che lavorava come mediatore linguistico alla Questura di Messina, era stata uccisa, con un colpo di bastone alla testa, il 4 settembre 2015. I giudici (presidente Nunzio Trovato, a latere Giuseppe Miraglia) lo hanno condannato anche al risarcimento alle parti civili da liquidarsi in separata sede civile disponendo anche una provvisionale di 10mila euro per ogni familiare costituito parte civile. Inoltre per il Cedav Onlus “Centro donne antiviolenza” la Corte ha liquidato una provvisionale di 2500 euro. Le motivazioni della sentenza si conosceranno tra 90 giorni. Il pubblico ministero Piero Vinci aveva concluso il suo intervento chiedendo la condanna all’ergastolo. A queste conclusioni si erano associate gli avvocati Maristella Bossa e Paola Rigano per i familiari e le figlie ed anche l’avvocato Maria Gianquinto per conto del Cedav. La difesa dell’uomo è stata rappresentata dall’avvocato Alberto D’Audino. Ad inizio udienza l’uomo ha chiesto perdono rivolgendosi alla madre di Omayma.

 

LA STORIA.  Omayma Benghaloum, 33 anni, tunisina, è stata uccisa per aver fatto troppo tardi per via dello sbarco di migranti a Messina, due giorni prima; questo è sembrato essere il movente dell’uomo che dopo averla colpita a morte con un bastone, nella loro casa di Sperone, ha preso le quattro figlie, la più grande di 13, la più piccola di 2 anni e le ha portate con sé al commissariato Messina Nord, lì dove lei lavorava, per costituirsi.

Omayma era infatti mediatore linguistico per l’ufficio immigrazione della Questura. Da pochissimo: aveva sfoggiato il cartellino che indicava il suo nuovo lavoro con una foto su facebook il 18 agosto 2015. Solo qualche sbarco però per Omayma in quella veste, l’ultimo fatale per il grave ritardo. Doveva arrivare alle 16 di mercoledi 2 settembre 2015, la nave Dattilo della Guardia Costiera, con 838 migranti a bordo. E invece è arrivata dopo le 18, così che le operazioni di sbarco sono andate avanti oltre la mezzanotte. Fino a quell’ora è rimasta lei, perché c’era ancora da identificare l’ultimo pullman, quello dei migranti con la scabbia. “Sembrava un po’ nervosa per via dell’orario”, aveva raccontato Clelia Marano, assistente sociale e sua collega. Temeva il marito ed i suoi scatti di violenza: aveva già denunciato il coniuge per maltrattamenti qualche anno fa, ma poi aveva ritirato la denuncia, e gli era rimasta accanto. Fino all’ultima, fatale aggressione.

 

 

 

 

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