Duecentosessanta opere d’arte trafugate nel giro di dieci anni, il ritrovamento di appena 50  quadri (un decennio dopo) e un processo che finì nel nulla. C’è una pagina nera nella storia del Museo Regionale “Maria Accascina” di Messina, inaugurato (parzialmente) lo scorso 9 dicembre. Uno scandalo che colpì la città e i suoi notabili, ma che nessuno ricorda con piacere.

L’AVVIO DELLA VICENDA. Tutto si consuma a Mandanici, un piccolo paese a mezza collina della riviera ionica messinese, dove erano state trasportate le opere dell’allora Museo Nazionale. Il deposito approntato le aveva difese dai tedeschi, dalla loro fuga precipitosa nel ’43, dalle spoliazioni scientifiche del famigerato Kunstschuntz, l’organismo creato da Adolf Hitler per acquistare opere d’arte italiane, con o senza il consenso delle autorità. Dove però falliscono il Fuhrer e Goring, riesce un custode di mezza età dal cognome mitologico e la faccia da siciliano furbo. Un dilettante della pittura che si chiamava Domenico Omero. Un uomo entrato nella storia dei furti d’arte, silenziosamente, che concluderà la propria esistenza a Roma, dipingendo nature morte, paesaggi e copie di tele famose per i ricchi amanti del falso, neanche d’autore.

Maria Accascina

IL BOTTINO DI OMERO. Questa è la storia di un uomo e duecentosessanta tele, svariate maioliche veneziane e di Castel Durante, ori, argenti e paramenti. Il racconto di uno scandalo sepolto negli archivi e rimosso dalla memoria: quello del Museo e delle sue opere trafugate, tutte più o meno di pregio; tutte, o quasi, sostituite da croste o cassate dai vecchi inventari. Tutto inizia nel 1939, quando, sotto la direzione Miraglia, si verifica il primo clamoroso furto: Domenico Longo, un altro custode, ruba pezzi di oreficeria, monete e stoffe, alterando l’inventario esistente. Teste al processo è proprio lo stesso Omero, che diventa custode a pieno titolo nel 1940. Nel 1949, quando giunge alla direzione Maria Accascina, l’inventario si trova alla Corte dei Conti, ma da subito la studiosa si accorge che, nello sfacelo generale, manca un’enormità di pezzi.

Federico Zeri

L’INTUIZIONE DI ZERI. L’Odissea dei tesori del Museo ospitato nell’ex filanda Mellinghoff prende il via nel 1939, ma viene alla luce nel settembre del 1951, quando Federico Zeri, all’epoca giovane ispettore della Soprintendenza del Lazio, insieme a Ferdinando Bologna e a Raffaello Causa (della sezione campana), gira per le sale del Museo in riva allo Stretto. Stanze mal illuminate e umide, rese però elettriche dall’organizzazione della mostra su Antonello da Messina. I tre sono stati invitati da Stefano Bottari, segretario generale del comitato organizzatore, a svolgere una ricognizione dei dipinti presenti, e così fanno: girano per le sale e commentano una per una le opere appese alle pareti. A un certo punto, il loro occhio cade su un trittico fiammingo dei primi del Cinquecento, che si presenta come una sinfonia stonata. Il comparto centrale, raffigurante una “Madonna in trono col Bambino”, appare di mano decisamente diversa rispetto ai pannelli che lo affiancano. Gli studiosi si avvicinano, osservano e decretano: non si tratta di un allievo o di un altro pittore coevo, ma di una “copiaccia” e pure recente (qualche tempo dopo, le analisi sulla base in gesso del dipinto daranno loro ragione).

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UNA SCOPERTA SCONCERTANTE. Zeri, Bologna e Causa cercano spiegazioni presso la direzione, ma Maria Accascina si trova a Palermo. Decidono allora di rivolgersi al soprintendente alle Belle Arti del capoluogo siciliano, Giuseppe Vigni, e, contemporaneamente, mandano una comunicazione al ministero della Pubblica Istruzione e alla Direzione generale delle Belle Arti. L’azione, però, non è molto gradita perché Zeri, Bologna e Causa vengono tagliati fuori dal comitato della mostra (circostanza, questa, in seguito smentita più volte da Salvatore Pugliatti, presidente del comitato organizzatore). Qualche settimana dopo la denuncia, giunge a Messina Emilio Lavagnino, ispettore generale del Ministero. Alla fine della sua inchiesta, che toccava solo un terzo delle opere presenti, il risultato appare sconcertante: il Museo è stato saccheggiato. Tra incredulità e sgomento, la città metabolizza il fatto e, dopo qualche mese, nessuno ci pensa più di tanto.

SEI ANNI DOPO. Nel 1957, è sempre Federico Zeri a riportare a galla la vicenda, del tutto casualmente. Lo storico dell’arte si trova a cena da Aldo De Angelis, industriale farmaceutico di Milano e collezionista d’arte. Camminando per i corridoi della casa, Zeri si trova di fronte il pannello centrale del trittico. Messo alle strette, De Angelis si dice disposto a restituire il dipinto. Contemporaneamente, lo studioso informa del fatto la Delegazione per il recupero delle opere d’arte, dipendente dal ministero degli esteri. A capo dell’ufficio c’è Rodolfo Siviero, lo “007” italiano dei dipinti scomparsi. L’uomo che recuperò i beni italiani trafugati dai nazisti prima, durante e dopo la Seconda guerra mondiale. Siviero si reca subito a Messina per un’ispezione e, con la collaborazione degli stessi vertici del Museo, scopre che l’entità del furto è di gran lunga maggiore di quella riscontrata da Lavagnino: 600 pezzi scomparsi, fra cui almeno 260 quadri di valore. Molti dei quali sostituiti con copie.

IL RACCONTO DI DE ANGELIS. Interrogato, l’industriale spiega di aver acquistato il dipinto, per 400 mila lire, da Giuseppe Ciraolo, un impresario teatrale nato a Gesso (Messina) ma residente a Milano. Al tempo stesso, il Museo presenta formale denuncia alla Procura per la sparizione dei quadri. E’ il 25 luglio 1957. L’istruttoria viene affidata al giudice Carlo Sgrò. Quando si rintraccia l’abitazione di Ciraolo, però, è troppo tardi. L’uomo è morto nel 1956. Bisogna ricominciare daccapo. Intanto, il 14 agosto, Maria Accascina presenta l’elenco di tutte le opere mancanti. Uno dei dipinti della lista viene trovato nello studio di Franco Giorgio, antiquario, nato a San Giorgio a Cremano (Napoli), ma residente a Firenze. Si tratta di una “Madonna col Bambino” che il commerciante dice di aver acquistato nel 1945 dal commendatore Gennaro Rubinacci (detto “Bebé”), proprietario di un atelier di mode, per 300 mila lire. Giorgio precisa anche di aver comprato dal suo corrispondente napoletano un’altra “Madonna col Bambino” e un “Santo donatore”, entrambi provenienti dalle collezioni del Museo di Messina.

LA SVOLTA. Grazie a Rubinacci, salta fuori per la prima volta il nome di Domenico Omero, licenziato nel 1945 per atti contro la morale, ma con libero accesso all’interno dell’istituzione. Il commendatore, infatti, confessa di aver acquistato i tre dipinti dal custode del museo. Omero, inoltre, aveva venduto a Rubinacci vasi in maiolica di scuola veneziana e di Castel Durante, manufatti provenienti dalla farmacia del Grande Ospedale di Messina. A Rubinacci vengono sequestrati “La Madonna in trono col Bambino”, nove vasi in maiolica, un gruppo in bronzo dorato e coralli, un crocifisso processionale e uno stazionale in rame dorato (sec. XIV) e tre pezzi di velluto costatagliato di produzione veneziana del ‘600. Domenico Omero viene rintracciato nella sua abitazione romana. Nella capitale ormai si dedica , guarda caso, solo all’attività di pittore e copista. Messo alle strette, confessa di aver venduto a Rubinacci le opere, dichiarando, però, di esserne venuto in possesso grazie a un antiquario messinese: un certo Costanzo, all’epoca già deceduto. Mentre spiega che la coperta gli era stata data da un altro commerciante di cose d’arte, tale Spanò. L’unico addebito negato da Omero è di aver dipinto le copie dei quadri del Museo per sostituirli agli originali: «Avevo l’autorizzazione del direttore Catanuto», sottolinea.

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UN CASO TELEVISIVO. Il pannello del Trittico, però, finisce in televisione. E la paura si diffonde tra i possessori di opere acquistate in circostanze poco chiare. Alla Delegazione opere d’arte cominciano ad arrivare pacchi postali contenenti dipinti e altri manufatti, tutti col mittente anonimo. Così, un’altra tavola e quattro tele si aggiungono ai recuperi effettuati. Qualche tempo dopo, viene spedita pure una Croce di scuola bizantina del XVI secolo.

ENTRA IN CAMPO LA POLITICA. Il Palrlamento decide di agire solo nel 1959, quando, a novembre, viene presentata un’interrogazione al ministro da parte dei deputati Vittorio Badini Confalonieri e Giuseppe Alpino (liberali), Vittorio Marangone (socialista) e Guido Secreto (socialdemocratico): «I sottoscritti chiedono al Ministro se risponda a verità che dal Museo nazionale di Messina sono stati sottratti 260 dipinti, oltre a un numero rilevante di oreficerie e oggetti d’arte, per venderli sul pubblico mercato. Gli interroganti chiedono i motivi per cui il fatto non è stato immediatamente denunciato all’autorità giudiziaria». Nel luglio del 1960, Aldo De Angelis porta alla Soprintendenza due dipinti attribuiti ad Andrea da Salerno (XVI secolo) e una “Madonna col Bambino” trafugata dalla chiesa di San Sebastiano di Pagliara (un comune vicino Messina). Il comportamento dell’industriale, però, si rivela un boomerang: il giudice istruttore Lacquaniti, subentrato a Sgrò, lo incrimina per ricettazione. Omero, invece, viene accusato «di essersi impossessato, in concorso con altri rimasti ignoti, di ingenti opere d’arte del Museo».

ACCASCINA SI DISCOLPA.  Ecco cosa scrisse la direttrice insediatasi nel 1949 in una lettera al “Tempo” del 12 aprile 1957. “Per il Museo nazionale di Messina, per come è stato trovato da me quando ebbi l’incarico di assumerne la direzione, quello che non poteva essere scritto nella relazione pubblicata recentemente in ‘Bollettino d’Arte’ consisteva in macerie e immondizie, furti e falsi, mancanze di inventari recenti, mancanze di consegne tra i vari direttori e di revisioni inventariali o ispettive dopo il grosso furto avvenuto nel 1939, mancanza di elenchi di opere rimaste nei magazzini e sulla spianata quando vi hanno preso stanza i tedeschi e gli inglesi, mancanza di elenchi delle opere mandate nei rifugi e ritornate. Passata da Roma a Messina, ho avvertito subito il ministero della situazione amministrativa gravissima, che si è resa ancor più grave per il fatto che l’unico inventario esistente, ma già manomesso dal custode ladro, veniva richiesto dalla Corte dei Conti. Sicché venivo ad essere priva di questa traccia. In questo periodo, sullo sfondo del caos generale, mentre andavo ritrovando nelle immondizie e nei magazzini conferma di furti e falsi, non poteva meravigliarmi la conferma da parte di colleghi che la parte centrale del Trittico fosse falsa. Così come continuo a non meravigliarmi nel notare la mancanza di altre opere”.

L’EPILOGO. A raccontarlo è lo stesso Rodolfo Siviero nel suo libro di memorie, “L’Arte e il Nazismo” (Cantini, Firenze, 1984): «Poi la festa finì all’italiana; la magistratura di Messina, sollecitata non si sa da chi fece trasportare tutti gli oggetti, prima ancora del processo, nel museo da cui erano scomparsi. La cerimonia fu solenne: prefetto, sindaco e magistrati, in una scena che ricordava quella dei Re Magi, consegnarono i doni alla direttrice del museo e furono tutti fotografati».

LE OPERE RICONSEGNATE. Ecco cosa si riuscì a recuperare, chiudendo nei cassetti della memoria lo scandalo dei falsi: “Madonna col Bambino”, tavola centrale del trittico di scuola fiamminga datato 1503 (di cui esisteva il falso); “Vergine nell’atto di abbracciare il Bambino”, sec. XV, già attribuita a Petrus Christus (di cui esisteva il falso); nove vasi in maiolica di scuola veneziana e di Castel Durante, datati 1568; “Madonna col Bambino” di Antonello De Saliba (di cui esisteva il falso); gruppo in bronzo dorato, costellato di coralli, di oreficeria trapanese, fine ‘500; “Madonna in trono col Bambino” di scuola senese-marchigiana, secolo XIV; Crocifisso processionale, Croce stazionale in rame dorato, sec. XIV; tre pezzi di velluto costatagliato di fattura veneziana del ‘600; “Sant’Antonio Abate”, tavola di scuola siciliana del XVI secolo; “Madonna del Soccorso”, dipinto di scuola siciliana del ‘600; “Mosé salvato dalle acque”, tela riferita alla scuola del pittore messinese Giovanni Tuccari, Settecento; “Figura virile vestita all’antica”, opera di Letterio Subba, diciannovesimo secolo; “Scena mitologica”, di ignoto, sec. XIX; “Crocifissione”, arte bizantina, secolo sedicesimo; “Angelo”, attribuito alla cerchia di Andrea da Salerno, scuola raffaelliana, secolo XVI; “Cacciata dal Paradiso terrestre”, identica attribuzione; “Madonna col Bambino, San Giovannino, un santo frate e San Francesco”; “Vergine col Bambino tra San Giuseppe e San Giovanni”; “Fuga in Egitto”. Le ultime tre opere erano state consegnate ai Carabinieri perché ritenute dei falsi. L’esame tecnico-scientifico, invece, dimostrò la loro autenticità. Appena una cinquantina di pezzi rispetto a quanto sottratto. Le copie realizzate da Domenico Omero si trovano ancora nei depositi del Museo regionale di Messina. Sono perfettamente accessibili, previa domanda, e fotografabili. Contrariamente a quanto si possa pensare, adesso hanno un loro valore nella storia dei falsi più o meno illustri.

(Fonti “L’Espresso”, “Il Tempo”, 12 aprile 1957 e D. De Joannon, “Quando Antonello si tinse di giallo”, “Centonove” del 16 ottobre 1998)

 

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armando orlando
armando orlando
16 Gennaio 2017 20:24

Che storia incredibile. Lei ha fatto un ottimo lavoro nel riproporla. Grazie

Martha
Martha
17 Gennaio 2017 0:16

Veramente un bell’articolo!!
Inquietante il fatto!

Vincenzo Antonuccio
Vincenzo Antonuccio
17 Gennaio 2017 8:41

Molte grazie! Ignoravo del tutto questa orribile vicenda. Purtroppo il terremoto del 1908 ha distrutto soprattutto la memoria e la consapevolezza del patrimonio, non mi stupisce che i messinesi degli anni ’50 e i loro attuali discendenti avessero una sensibilità nulla nei confronti del patrimonio artistico.

Mariella Magazù
Mariella Magazù
17 Gennaio 2017 10:57

Bravoooo gran bel pezzo e dettagli precisi. Considerato che come quando furono riconsegnate le opere oggetto dell’inchiesta, di recente, è stata più o meno organizzata la stessa “pupiata” con la vergognoso, ignominiosa e offensiva inaugurazione. Per non parlare dell’allestimento, illuminazione etc. … Bel pezzo Daniele. Complimenti e buona nuova avventura a te e tutti in redazione. Baci

carmine
carmine
18 Gennaio 2017 8:29

Non credo che i messinesi avessero coscienza dei furti, anche gli addetti ai lavori non erano consapevoli. Onore al merito a zeri.

Antonio
Antonio
22 Gennaio 2017 16:16

Che articolo!!! complimenti, brutta ma intrigante, affascinante storia.