Ti accorgi della straordinarietà degli eventi quando seduti fianco a fianco, ad annuire convinti, guardi consiglieri comunali di specchiata fede destrorsa come Daniela Faranda, e Santino Bonfiglio, consigliere di quartiere che ancora oggi saluta col pugno chiuso invece che con la stretta di mano, oppure un anarchico con una vita sulle barricate (l’ultima quella del collettivo Pinelli) come Massimo Camarata, ed un architetto, rappresentante dell’alta borghesia professionale, ed esponente di Capitale Messina, movimento vicino al Pd, come Pino Falzea.

C’è un sottile filo rosso che unisce storie così diverse tra loro, spesso opposte, quasi sempre inconciliabili: è la delusione. Umana, politica, personale, professionale. Delusione per l’epilogo che per tutto il salone ha avuto l’esperienza di Renato Accorinti a sindaco di Messina. Disillusione nell’aver creduto che fosse in un modo, invece è stato in un altro modo. Amarezza per amicizie che in quattro anni di avventura a Palazzo Zanca si sono irrimediabilmente compromesse.

A fare da catalizzatore ai vari scontenti è stata la presentazione del libro “Assolto per non aver compreso il fatto”, scritto a quattro mani da Nina Lo Presti e Gino Sturniolo, consiglieri comunali eletti nella lista a sostegno di Accorinti, Cambiamo Messina dal basso, che meno di un anno fa hanno salutato il comune di Messina, considerando chiusa la loro esperienza e dimettendosi dalle cariche.

Ad ascoltarli, e stringere loro le mani, una platea enorme. Per vedere il salone delle Bandiere del comune di Messina così gremito, bisogna assistere a manifestazioni in cui usualmente alla fine c’è un nutrito buffet. Qui non si mangia. Al massimo si mastica. Amaro. Come Gino Sturniolo, che sembra aver elaborato il lutto politico della fine di un progetto che aveva contribuito a creare, con il distacco dei saggi. Il suo intervento è amareggiato, non incazzato: “Con questo libro facciamo i conti anche con noi stessi – spiega – col nostro percorso umano: questa esperienza ha lacerato rapporti decennali, e il libro rappresenta la nostra uscita definitiva da questa storia”, confessa con quello che sembra un velo di nostalgia. Che passa subito. “Io penso a Renato che dice di essere anarchico, e penso al comizio contro la sfiducia, quando dice, rivolto ai suoi detrattori, “hanno fatto diventare brutta anche la parola potere, che per il bene comune è una cosa buona”, citando genitori, insegnanti e i preti: figure che la psicologia libertaria mette in discussione per prime. E’ paradossale, inconsapevolmente oggi Accorinti incarna il corso dei tempi ma con una ignoranza delle cose non solo normative ma anche teoriche. Pacifismo e non violenza non solo quelle bandierine che sventola con noncuranza”.

Poi una quasi bestemmia, considerata la maggior parte della platea, oscillante tra Karl Marx e Michail Bakunin, parlando di Messinambiente: “Non possiamo accettare la salvezza delle partecipate nell’ottica esclusiva della salvezza dell’occupazione”. Applausi, ma stentatissimi: l’alcool sulle ferite fa male sempre, anche quando viene da un amico e serve a non farle infettare, quelle ferite.

Così come in aula, le dinamiche tra Gino Sturniolo e Nina Lo Presti non potrebbero essere più diverse. Nina Lo Presti è sanguigna, pasionaria, aggredisce ogni parola, rimarca con grinta ogni concetto: “Non abbiamo ceduto alla trimestrale di cassa, abbiamo continuato lungo la strada della follia dei giusti e non della ragione degli opportunisti“, afferma con decisione, fomentando la platea. “Già un anno fa Accorinti ha abbandonato la città, ha lasciato tecnici e burocrati ad occuparsi di tutto. Si chiama tecnocrazia diretta: l’esperienza accorintiana si è divisa tra scienza e religione. Da una parte i burocrati, da Guido Signorino a Luca Eller per arrivare a Enzo Cuzzola, dall’altra Accorinti, che considera se stesso dio, con uno smisurato ego al quale ha affidato tutta la retorica del cambiamento. E’ un performer”. Poi l’affondo, sul quale è basata la parte analitica del libro, il motivo di rottura politica di due anni e mezzo fa: “Quattro anni di attesa aspettando che il ministero si pronunci sul piano di riequilibro è un tempo al di fuori di ogni ragionevole dubbio. E’ la sanatoria tombale per tutto quello che è stato compiuto in passato“.

Le prime due, tre file, sono monopolizzate da amici delusi, amici traditi, amici oggi silenziosamente allontanati, amici indifferenti, ex amici e basta. Gente che fino a ieri si riferiva ad Accorinti come “Renato” e oggi fa quasi fatica anche solo a nominarlo per cognome. Saro Visicaro, con lui in lista durante le amministrative 2013. Luciano Marabello, suo esperto a titolo gratuito poi dimissionario, ancora oggi amareggiato per come è finita col laboratorio per i beni comuni . Alessandro Tinaglia, candidato sindaco di Reset che ad Accorinti aveva chiesto convergenza su un “patto per Messina”. Raffaella Spadaro, portavoce dei Verdi e sostenitrice della sua candidatura come gli accorintiani della primissima ora Clelia Marano, che ha lavorato da esperta sui migranti,  Daniele David, sindacalista della Cgil e Pietro Saitta, ricercatore universitario, anarchico nel vero senso della parola. Anna Giordano, ambientalista da una vita. Antonio Mazzeo, che con Accorinti ha diviso megafoni e cortei contro il ponte. Renato Ciraolo, che con Accorinti è stato amico, e persino socio in un’avventura commerciale, da quando erano in fasce. Tutti, per una ragione o per un’altra, delusi, amareggiati, disillusi.

Il resto? Simpatizzanti. Curiosi. Ottimisti che speravano in qualcosa di megilo da Accorinti, o anche solo di diverso. Opportunisti che viceversa speravano in un burattino inesperto per la restaurazione delle cattive vecchie abitudini. Rappresentanti dei “poteri forti” che applaudono quando qualcuno si scaglia contro i poteri forti, e ti domandi se lo facciano per paraculaggine, di applaudire, o se proprio non lo capiscono che il riferimento è a loro diretto. Oppositori politici che ad Accorinti promettono la guerra quando i suoi sostenitori cantano “Bella Ciao”, mentre gli ex amici, e gli autori del libro lo rimproverano sostanzialmente di averla cantata troppo sottovoce, Bella Ciao.

Nelle file dietro si ride degli strafalcioni politico-filosofici-ideologici di Accorinti. Riso facile a battute telecomandate, alla platea piace vincere facile. Renato Accorinti non è mai stato uomo da lucide analisi politiche: attaccarlo per quello che ha sostenuto sul dissesto, magari prima di fare l’esatto opposto dal punto di vista amministrativo, è un esercizio che suscita magari un riso amaro, ma non molto altro. 

Chi gli è stato amico, infatti, non ride. Non ha niente da ridere. Ha la delusione che gli mangia le budella, il rimpianto di cosa sarebbe potuto essere e invece non è, il rimorso di aver contribuito a qualcosa che invece, strada facendo, si è trasformato in qualcos’altro. E’ il sentimento che palesemente anima Nina Lo Presti, una donna alla quale la persona che fa motivatamente a pezzi nel suo libro, ha sugellato il suo matrimonio, è la sensazione che prova Gino Sturniolo, che a casa ha tre quarti delle foto dell’album dei ricordi politici abbracciato a Renato Accorinti.

Non si ride degli amori perduti. Li si chiude nel cassetto delle memorie e magari ogni tanto si sospira ricordandoli. Si, magari anche con un libro in cui quegli amori li si è fatti a pezzi.

 

 

 

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