MESSINA. È stato presentato questa mattina, alla Libreria Feltrinelli, il progetto “Nel centro dell’Orca – Itinerari perforativi su Horcynus Orca”, organizzato nel centenario della nascita del grande (e troppo spesso dimenticato) Stefano D’Arrigo, scrittore nato ad Alì il 15 di ottobre del 1919 e scomparso il 2 di maggio del 1992.

Gli eventi, promossi dalla Fondazione Horcynus Orca, che come il parco omonimo prende il nome dal suo grande capolavoro,  si svolgeranno dal 13 dicembre al 22 nel complesso monumentale di Capo Peloro. Fulcro delle attività in cui si articola il progetto sarà la stanza “Nello Scill’e Cariddi”, una sala immersiva con le pareti interattive che ospiterà 7 spettacoli caratterizzati da una innovativa ricerca artistica e tecnologica. L’obiettivo è quello di celebrare uno dei più grandi scrittori cittadini, tornato al centro dell’interesse internazionale grazie alle recente edizione del libro nella traduzione tedesca e a quelle in corso di realizzazione in Francia, Spagna e Stati Uniti.

In particolare, è prevista una nuova e originale performance teatrale immersiva, “I giorni della Fera. Cap. 1”,  ispirata al suo capolavoro e realizzata da Mana Chuma Teatro, in programma il 21 dicembre e domenica 22. In cartellone anche vari appuntamenti perforativi site-specific di danza, musica e teatro legati all’universo tematico dei “duemari” in tutte le sue componenti fisiche, scientifiche e letterarie, anche attraverso la messa in relazione con gli scenari creati ispirandosi ai temi del mare.

Si inizia il 13 con “Il Muro”, di Turi Zinna, e si procede il giorno successivo con “U pappaiaddu ca cunta 3 cunti”, di Giuseppe Provinzano, mentre domenica 15 toccherà a “I-Sola”, di Simona Miraglia, e il 17 a “Epica Fera”, di Gaspare Balsamo. Il 20 spazio a “Nino”, di Cinzia Muscolino e la regia di Tino Caspanello, a cui seguirà “Lo scoglio del marinaio”, di Simone Corso, in programma domenica 22 (in basso il programma completo).

Fra gli appuntamenti in cartellone anche il seminario “Horcynus Orca, un’opera in traduzione”, condotto da Dario Tomasello, a cui prenderanno parte Moshe Kahn, Gaspare Balsamo e Michela De Domenico. Il dibattito si terrà alle 9 al Dipartimento di Scienze cognitive dell’Università di Messina. Sempre il 17, ma nella Sala Consolo del complesso monumentale di Capo Peloro,  gli scrittori Silvio Perrella, Guglielmo Pispisa e Nadia Terranova si confronteranno sui luoghi dell’Horcynus nel corso dell’incontro “Uno Stretto labirinto di storie”.

 

 

UNO SCRITTORE VISIONARIO. Laureatosi a Messina dopo gli studi a Milazzo con una tesi su Friedrich Hölderlin, Stefano D’Arrigo si trasferì presto nella capitale tornando nella sua terra natia solo di rado, l’ultima volta probabilmente nel 1989, al teatro greco di Taormina, per assistere alla messa in scena dell’Horcynus con la regia di Roberto Guicciardini. Il suo esordio avviene nel 1957, quando, quasi quarantenne, dà alla luce la raccolta di poesie “Codice siciliano”, in cui già si intravedono i temi che caratterizzeranno il suo capolavoro, un “colosso mostruoso” di 1300 pagine tanto complesso quanto ostico, pieno zeppo di neologismi (lo studioso Stefano Lanuzza ne ha contati 2.500), che ricevette critiche feroci (Enzo Siciliano lo definì un “fritto misto”) ma anche parecchi elogi (fra i quali quelli di Vittorini, Sciascia, Pasolini, Giorgio Caproni e Primo Levi).

I primi due capitoli del romanzo escono già nel 1960, sulla rivista Il Menabò, con il titolo provvisorio de I giorni della fera: la struttura narrativa dell’opera è già conclusa, ma l’autore deve ancora affrontare una profonda revisione lessicale, che si protrae per tutti gli anni successivi. E proprio la straordinaria ricchezza linguistica è una delle caratteristiche salienti del romanzo, in cui si intrecciano, inestricabili, almeno tre livelli: l’italiano colto e letterario, la parlata popolare dei pescatori siciliani e una gran quantità di neologismi ideati dall’autore. La complessità semantica, assieme all’assenza voluta di un glossario e alla mole dell’opera, con un unicum narrativo di oltre mille pagine, fa della lettura di Horcynus Orca un’impresa ardua, per nulla facilitata dall’incessante tendenza dell’autore alla digressione e al flusso di coscienza, caratteristica, questa, che porterà tanti ad associare d’Arrigo a James Joyce. 

La fabula dell’opera copre un arco temporale di soli cinque giorni, dal 4 all’8 ottobre 1943, ma una complessa trama di analessi e numerose digressioni sotto forma di flashback raccontano episodi precedenti, risalenti fino al 1860. Protagonista del romanzo è il nocchiero semplice della Marina Regia ‘Ndrja Cambrìa, che tenta di tornare a casa, a Cariddi, attraversando lo Stretto di Messina: ritroverà un paese irriconoscibile, trasformato dalla guerra e sconvolto dall’apparizione in mare di una creatura mostruosa, l’Orcaferone, simbolo enigmatico della potenza ultraterrena della morte.

Definito da Giuseppe Pontiggia, che si occupò dell’editing del romanzo, “un mitico ed epico poema della metamorfosi”, Horcynus Orca è un’opera-mondo estrema e sperimentale, che diviene una sorta di rappresentazione allegorica del Mare, con i suoi flutti e le sue correnti, i suoi tumulti e i suoi abissi.

Terminata l’opera di una vita, occorrerà attendere il 1985 per il secondo romanzo, Cima delle nobildonne, in cui lo scrittore cambia radicalmente atmosfera, rinunciando allo sperimentalismo linguistico e raccontando le gesta di un ermafrodito bellissimo, amato dall’emiro di Kuneor. Per il resto nessun’altra pubblicazione, fatta eccezione per un atto unico per il teatro, Emanuela, di fattura “piuttosto lorchiana”, come lo definì lo scrittore, raccontando di averlo scritto per una rivista antifascista nei primi anni ’40.

Morì 27 anni fa, a Roma, all’età di 72 anni. 

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