MESSINA. «Per poter entrare con la macchina nel nostro complesso dobbiamo salire sul marciapiede: abbiamo fatto plurime segnalazioni, veniamo costantemente ignorati da tutti gli uffici pubblici preposti al controllo, dalla polizia ai vigili. Con il solito rimpallo di responsabilità che ci porta puntualmente a un nulla di fatto. Questa è la terra di nessuno». Parla velocemente Paola Pagano, mentre spiega, racconta, agita le mani, indica la strada. Quella strada invasa da costruzioni abusive, che lentamente ed inesorabilmente stanno invadendo l’ingresso a case e complessi: a casa sua. Si tratta della via 26 C, una strada che non ha più neanche un nome, dove per indicarla si utilizza il codice delle poste per suddividere la città.

Eppure un nome un tempo lo aveva, era la via Gaetano Alessi, se non un’arteria, una strada di collegamento che agevolava la viabilità. Quel nome è andato perso perché la via non esiste più: completamente chiusa al traffico da veri e propri agglomerati di baracche e addirittura chiusa da muri e cancelli completamente abusivi. Si trova poco più su del vecchio campo sportivo, il Celeste, a pochi metri dal Policlinico universitario. Siamo dunque nel pieno cuore pulsante di Messina, città assediata dal secolare fenomeno delle baracche. Secolare perché è un fenomeno che nasce all’indomani del terremoto del 1908, ma di abitazioni abusive, fai da te, di quell’epoca non ce ne sono più. Da allora però l’abusivismo non ha mai più avuto fine, perché nel momento in cui gli abitanti venivano trasferiti in alloggi popolari, altri le ripopolavano immediatamente, rendendo di fatto impossibile lo sbaraccamento. Perlomeno dopo, perché «una politica connivente con un importante bacino elettorale ha spesso evitato le demolizioni», spiega Sergio De Cola, assessore ai lavori pubblici, alle politiche del territorio, e all’attività edilizia.

 

La via 26 C è un esempio lampante di questo fenomeno. Ci si arriva dalla grande via di accesso all’autostrada di Gazzi, proprio di fronte all’ingresso “alto” del Policlinico si svolta a destra e qui, già senza entrare nella piccola viuzza, il paesaggio urbano affonda lo sguardo in abitazioni irregolari, fatiscenti, in tetti in amianto, in un caleidoscopio di materiali edilizi da sintetizzare in un solo termine senza esitazioni: degrado. È questo l’ingresso in uno dei quartieri più noti per le condizioni di scarsa vivibilità (si va a caccia di eufemismi), ovvero Mangialupi, una zona che non a caso dà il nome ad uno dei più noti clan di Messina. Pare una normalissima via all’inizio, qui infatti il panorama poteva essere diverso, costeggiato com’è da complessi edilizi, se non belli, perlomeno “regolari”. Ma è proprio in questa via di accesso – e fuga – a questi complessi che un agglomerato di baracche si è insinuato sul suolo pubblico, man mano restringendo la viabilità, fino all’interruzione della vecchia via Alessi, che già nei decenni era stata occupata da altre baracche fino ad esserne inghiottita: una strada sparita perché invasa da costruzioni abusive. In quel che resta della ex Gaetanno Alessi però, gli abitanti non ci stanno, protestano, segnalano. Per questo negli anni hanno ricevuto intimidazioni di vario genere: «Mi hanno intimato che mi avrebbero ammazzata, dopo avermi insultata, poi abbiamo subito tanti piccoli danni, al citofono, per esempio. Non ci sentiamo al sicuro, tantomeno ci sentiamo tutelati. Anni di segnalazioni sempre cadute nel vuoto: l’unico risultato è stato che lo scorso maggio sono venuti i vigili e hanno buttato giù un piccolo muretto, non hanno rimosso l’impastatrice, invece, e il giorno dopo i lavori proseguivano senza esitazioni». A raccontare, facendo eco a Paola Pagano è Chiara, un’altra vicina di casa, dal nome fittizio perché il suo preferisce venga non rivelato. Pagano è infatti l’unica a denunciare a viso aperto.

 

Una quotidianità di intimidazioni e restrizioni quella degli abitanti di questo quartiere, che non sembra trovare alcuna sponda nelle istituzioni: «Le segnalazioni che abbiamo fatto negli anni sono state tantissime ma la risposta non c’è stata: siamo solo e loro non fanno che ampliare, giorno dopo giorno, per questo abbiamo presentato un esposto in procura», racconta invece Caterina, altra vicina di Pagano, dal nome fittizio. Quando si va si trova l’impastatrice in mezzo alla strada attiva a pieno regime, un uomo cerca di creare un po’ di spazio per farci passare, ma bisogna per forza salire sul marciapiede per poter fare manovra, sulla strada con un gesso hanno segnato l’ampliamento a cui stanno lavorando, arrivando così fino all’inizio del cancello del complesso di fronte. Sono case fatiscenti, baracche, costruite con le loro stesse mani, sui tetti però si contano climatizzatori e antenne satellitari. Alcune di queste abitazioni hanno perfino un secondo piano. Insistono, infine, in una strada sotto la quale passa la galleria delle ferrovie dello Stato, che permette ai treni in transito da Milazzo di arrivare a Messina in minor tempo, proprio per questa posizione nessuna costruzione può essere autorizzata, perché potrebbe mettere a rischio la galleria ferroviaria. Eppure costruiscono indisturbati: «Mangialupi è di certo una zona molto pericolosa, un’area urbana perlomeno complessa, difficile», ammette Sergio De Cola. Intervenire in una zona simile, perciò, richiede uno sforzo istituzionale: «Le segnalazioni sono state parecchie, per questo motivo abbiamo deciso di comune accordo col sindaco di confrontarci con la questura e col comando della polizia municipale per decidere un intervento congiunto» annuncia finalmente De Cola.

 

Lo scorso marzo d’altronde l’amministrazione Accorinti è intervenuta con la demolizione di trenta baracche circa tra Fondo Saccà e il Rione Taormina. Ma è un fenomeno imponente: le baracche censite sono circa tre mila, tra le quali non sembra risultino quelle della via 26 C: «Non sono in grado di essere preciso», ammette ancora De Cola. Baracche, tutte abusive, alcune non censite, che sottraggono selvaggiamente il suolo pubblico: questo inverno è esplosa sulla stampa nazionale la storia di via Nicaragua, ora ferma nei meandri dell’amministrazione giudiziaria (una battaglia a suon di ricorsi tra la signora che ha occupato la strada e il Comune): «Sul viale Giostra, lì dove prima c’erano strade adesso è tutto completamente occupato da un abusivismo selvaggio, via Nicaragua è solo un piccolo esempio di un fenomeno molto ampio”», spiega Santino Morabito, presidente del V quartiere dove insiste via Nicaragua. Baracche col trucco: «La signora Rossi, per esempio – continua Morabito – ha preso la casa popolare, nella baracca che occupava però è rimasta la figlia col marito e il nipote che maturerà il diritto all’alloggio popolare e così via. Questa cosa ha riguardato migliaia di famiglie ed è un fenomeno pazzesco: una truffa ai danni della città. Perpetrata da messinesi disonesti con la connivenza dei funzionari pubblici e dei politici». Una truffa ben ripartita: sono sette le aeree censite nei progetti di risanamento, macroaree che riguardano 14 quartieri: Annunziata, Giostra – Badiazza, Bisconte-Camaro-Cataratti, Fondo Saccà, Gazzi – Fondo Fucile (che inculde Mangialupi) – Via Taormina, Santa Lucia sopra Contesse – San Filippo, Minissale – Bordonaro. E dopo decenni di annunci, ancora oggi il censimento del Comune conta quasi tre mila (2891) nuclei familiari da inserire in alloggi popolari. Soltanto.

 

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