“La strada è uno spazio che esprime un accordo e un patto nella città”  (Louis Kahn)

 

Ci sono Mille motivi per migliorare le città e Mille motivi per fare le isole pedonali ma in via dei Mille non ci sono né Mille vetrine né Mille valide ragioni per centralizzare la questione della pedonalizzazione e riassumere ad emblema o peggio ad ideologia l’uso di quella via.

Quella via in questi ultimi  anni è stata presentata come se fosse la strada più giusta, più importante, più bella o significativa della città, o peggio la migliore o la più strategica nella costruzione di una nuova  vita pedonale dei cittadini di Messina.

Mille contenziosi e mille partiti presi, mille persone e mille ipotesi e parole, tutte le vicende che hanno accompagnato i tentativi, i fallimenti, gli imperi, gli improperi e le prese d’atto intorno all’isola pedonale di via dei Mille dovrebbero far ragionare per mettere a punto una strategia di  progettazione concreta e razionale per pedonalizzare parti sensate della città di Messina.

Perché si è imposta?

Un gruppo di commercianti motivati ha spinto dal basso o dalle soglie delle vetrine la richiesta per fare diventare permanente l’uso pedonale di una strada, l’Amministrazione ne ha fatto un cavallo di battaglia seppure azzoppato più volte da atti politici, capricci o sospensive giurisprudenziali. 

Nel “patto della strada” si sono associati e hanno trattato  le parti sociali in campo, i portatori d’interesse e di governo; molti cittadini hanno apprezzato, criticato, osannato, disprezzato queste sperimentazioni. Questo processo morto e resuscitato più volte pone ed esprime una domanda di spazi liberi e di pause nel traffico, ma impone di capire, di usare metodo e scienza ovvero, per essere chiari , di usare arte nel costruire la città.

Perchè non funziona?

Ve lo dico in maniera banale: occorre sapere che qualsiasi studentello di architettura e urbanistica quando disegna e ridisegna la planimetria di una città, e prima di elaborare un progetto esamina la forma della città esistente, analizza i vuoti e i pieni, i flussi e soprattutto riassume con pochi tratti di penna colorata le gerarchie, misura gli invasi delle strade, e attraverso un processo razionale risponde alla domanda della committenza con la soluzione più attendibile. 

Via dei Mille in che gerarchia sta con le altre strade? È più importante delle altre? ha una forma e una misura significativa? Si Trovano elementi di qualità formale, spaziale o monumentale? Bastano 20 vetrine più ricche e altri 20 associati in una legittima lobby a formulare un patto pubblico? Via dei Mille nel tratto che abbiamo conosciuto, passeggiato e transennato fino alla via Santa Cecilia, ha 9 segmenti di pedonalizzazione  corrispondenti ai 9 isolati per lato che costruiscono i 9 incroci con le  9 vie ortogonali .

9 sono gli incroci di una scacchiera geometrica uguale nelle vie a  monte come in quelle  a valle, la regola della scacchiera è quella e per quanto la vuoi interpretare quella resta . Può quindi una via gerarchicamente inferiore o paritaria alle altre, generare di per sé il motore principale di un processo? Io sinceramente da quest’uso aritmetico del 9×9 genero solo una moltiplicazione  con  almeno 81 problemi che se avessi spazio esaminerai con voi.

Perché comiciare da lì?

Tutte le città che ho visitato o studiato in Italia e all’estero hanno cominciato le pedonalizzazioni proprio dai tratti più importanti, da quelli monumentali, da quelli di gerarchia superiore, da quelli belli per forma o significato, o persino con delle ragioni ingegneresche per dei motivi di massima funzionalità;  le gerarchie possono essere di vario tipo ma rivelano spesso un metodo, un processo e un ordine formale e mentale. Ecco ancora oggi non ho avuto mille, ma a dire il vero neanche una riposta razionale da ingegneri, architetti, urbanisti o trasportisti, le sole rsiposte chiare erano quelle che alla cittadinanza piaceva strusciarsi e mostare bambini e cagnolini. Piuttosto che risposte che postevano superare la famosa prova del 9, un’onda irrazionale con venature da ideologia da spedizione dei Mille  ha riempito il campo spazzando via qualsiasi  duraturo risultato . Quindi perché non cominciare dal Viale con i suoi terminali di spazi e piazze? O ancora perché non allargare alle zone di prossimità delle isole inserite nel P.U.T o perché non studiare a fondo la natura sociale, antropologica e commerciale e confrontarla con quella formale e policentrica della città di Messina?

Perché lo spazio pubblico e la strada sfugge alla comprensione e da luogo del patto diventa luogo del conflitto.

In questi anni in Italia e nel mondo abbiamo assistito alla modificazione e all’ambigua e incerta apparenza dello spazio pubblico e della strada. Quello che prima definivamo con chiarezza ordine e gerarchia come spazio pubblico, fatto d’identità, bellezza, economia e funzione, oggi spesso sfugge, è come se la contrattazione di significato si facesse giorno per giorno, si rinnovasse secondo spinte emotive o oscure o banalmente improprie; qualcuno dice che la città viene fatta dalle persone e dalle dinamiche che si inventano tralasciando o scartando per sempre qualsiasi processo razionale e poetico per il disegno e l’uso della città. 

Il conflitto nella città è da sempre esistito, ma assume dentro le modalità di uso dello spazio pubblico la possibilità di un patto e di un accordo. Lo spazio pubblico o le parti riconosciute come luoghi comuni sono da riacchiappare come necessari strumenti navigatori dentro la mappa delle comunità variabili che abitano la città. Non so se ancora la strada esprime un possibile patto ma di sicuro esprime un desiderio e un’ipotesi attraverso  cui le citta devono costruire un progetto, perché una città sta dentro un’intelligenza spaziale che lavora incessantemente finché c’è vita.

 

 

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