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Piersanti Mattarella, una tragica epifania

 

Domenica 6 gennaio 1980. Palermo. Ultimo giorno di festa. Il presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella, democristiano, secondogenito dell’ex ministro Bernardo Mattarella (il fratello Sergio è l’attuale presidente della repubblica) è appena entrato in auto insieme con la moglie, i due figli e la suocera per andare a messa. Siamo in via della Libertà, tra il numero civico 135 e il 137, in pieno centro cittadino. All’improvviso  un killer si avvicina al finestrino della vettura e lo uccide a colpi di pistola. Un omicidio a sangue freddo che inizialmente fu considerato un attentato terroristico, poiché subito dopo il delitto arrivarono delle rivendicazioni da parte di un sedicente gruppo neo-fascista. Un’interpretazione che fece sua anche il giudice Giovanni Falcone, che nel suo ultimo atto investigativo, depositato il 9 marzo del 1991, nella qualità di procuratore aggiunto, puntava fermamente sulla colpevolezza dei terroristi di estrema destra Giuseppe Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, membri dei Nar, i Nuclei armati rivoluzionari, quali esecutori materiali del delitto, in un contesto di cooperazione tra movimenti eversivi e Cosa Nostra. Ipotesi poi smentita dopo la strage di Capaci, quando l’uccisione di Mattarella venne indicata esclusivamente come delitto di mafia dai collaboratori di giustizia Tommaso Buscetta e Gaspare Mutolo:  “fu  un omicidio voluto dalla Commissione”.

A decretare la morte di Mattarella fu la sua ferma intenzione di portare avanti un’opera di modernizzazione dell’amministrazione regionale: per questo aveva iniziato a contrastare l’ex sindaco Vito Ciancimino, referente politico dei Corleonesi,  e aveva deciso di chiedere al segretario nazionale della Dc, Benigno Zaccagnini, il commissariamento del Comitato Provinciale del partito. 

Proprio un anno prima dalla morte, durante la Conferenza regionale dell’agricoltura, Mattarella aveva difeso il deputato Pio La Torre, all’epoca responsabile nazionale dell’ufficio agrario del Pci,  che aveva attaccato l’assessorato dell’Agricoltura, denunciandolo come centro della corruzione regionale, e additando lo stesso assessore come colluso alla delinquenza regionale. Mentre tutti attendevano che il presidente della Regione, democristiano,  difendesse vigorosamente il proprio assessore, Giuseppe Aleppo, sgomentando la sala Mattarella riconobbe pienamente la necessità di correttezza e legalità nella gestione dei contributi agricoli regionali e prendendo di fatto le parti di un senatore comunista.

Fra le varie congetture sull’omicidio, quelle dell’agente segreto francese Pierre de Villemarest, che rifacendosi alle impressioni di Leonardo Sciascia, che il giorno stesso del delitto aveva parlato di “confortevoli ipotesi”, ha suggerito che mafia e P2, quest’ultima presumibilmente tramite l’eversione di destra, abbiano collaborato sin dal 1970 per sorvegliare e poi uccidere Mattarella per conto del Kgb, in quanto il politico siciliano sosteneva il compromesso storico per snaturare il Pci e sottrarlo all’influenza sovietica.

 

“Piersanti Mattarella stava provando a realizzare un nuovo progetto politico-amministrativo, un’autentica rivoluzione. La sua politica di radicale moralizzazione della vita pubblica, secondo lo slogan che la Sicilia doveva mostrarsi ‘con le carte in regola’, aveva turbato il sistema degli appalti pubblici con gesti clamorosi, mai attuati nell’isola” (“Per non morire di mafia”, Pietro Grasso)

 

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