MESSINA. “Oggi, 30 dicembre 2019 con l’approvazione del bilancio finale di liquidazione si è provveduto alla chiusura dell’attività di liquidatela, e nei prossimi giorni si provvederà alla cancellazione dal registro delle imprese”. Con un post, ieri, il sindaco Cateno De Luca annunciava la definitiva morte della partecipata Nettuno Spa, che è “sopravvissuta” a sè stessa quasi un decennio. Tanto è passato, infatti, da quando è stato deciso di chiuderla, mettendola in liquidazione. Era il 2010.

Nettuno Spa è nata nel 2001 come società mista “a prevalente partecipazione pubblica”, con l’intenzione di costruire un porticciolo turistico tra Grotte e Sant’Agata, e diventata sin da subito interamente pubblica, senza nemmeno l’ombra di privati: la ex Provincia regionale ci ha messo poco meno del 60% del capitale sociale da 120mila euro, il Comune il resto: il 40,508%. I privati, invece, se ne sono tenuti alla larga. Anzi, il gruppo Franza, con il progetto Marina di Guardia (firmava Beppe Rodriquez) aveva le stesse intenzioni, un porticciolo grossomodo nella stessa zona. Oggi, diciotto anni dopo, di porticcioli non c’è traccia e la partecipata è definitivamente cancellata dopo nove anni di liquidazione, e dopo aver accumulato debiti per quasi 250mila euro senza aver mai prodotto nulla se non stipendi.

Cosa ha fatto in diciott’anni, dal 2001 ad oggi, la Nettuno Spa? Basilarmente ha perso soldi. Dal verbale dell’assemblea dei soci dei aprile 2008 risultava per esempio che l’Assemblea, in seduta ordinaria, aveva deliberato alla chiusura del bilancio 207,  una perdita di 51.481 euro e perdite pregresse “portate a nuovo” di 8.448, euro: in seduta straordinaria si era poi deliberato di abbattere il capitale sociale di 120mila euro riducendolo a poco meno di 47mila euro per assorbire le perdite accertate di complessivi 73.304 euro, e di ricostituire il capitale sociale fino ad Euro 120mila euro mediante l’importo di 73.304 euro da fare sottoscrivere agli azionisti.

Una situazione talmente assurda, dato che la società non ha mai prodotto alcunchè, che nel 2010 spinse l’allora consiglio comunale dell’epoca a votare per la liquidazione, “in quanto l’attività svolta dalla società non presenta i requisiti di efficacia per quanto attiene il conseguimento sociale”, sia per le determinazioni segnalate dalla Sezione di Controllo per la Regione Siciliana in ordine alle “valutazioni di efficienza ed economicità della gestione aziendale”. L’assemblea dei soci, due anni dopo, presenta il conto: una perdita di esercizio provvisoria di 31.600  euro,  perdite degli esercizi precedenti di 216.500 euro, per un deficit patrimoniale complessivo di quasi 250mila euro.

Cosa succede, quindi? Nulla. Passano altri quattro anni perché, nel 2016, il consiglio voti la conferma della liquidazione valutando “a non sussistenza dei presupposti per il mantenimento della partecipazione del Comune di Messina al capitale sociale”. Il taglio dovrebbe coinvolgere 8 partecipate su 14, ma non se ne fa nulla: nel 2018, tocca allo stesso consiglio comunale ri-votare “come azione di razionalizzazione il non mantenimento della Società”.

Si arriva ad oggi, quando il comune, sollecitato dal liquidatore Alessandro Anastasi, viene informato che per la definizione delle varie posizioni debitorie occorre la somma di 65mila euro. Il Comune, però, decide di stanziarne 40mila, come da determina del ragioniere generale Giovanni Di Leo del 30 luglio. Nel frattempo, da anni la Corte dei conti bacchetta palazzo Zanca proprio per le partecipate inutili: che non si riescono a fare fuori.

Ultimo “regalo”, la partecipata l’ha fatto ad agosto: quarantamila euro che il comune di Messina ha stanziato per dire addio alla società mista piena di debiti e della cui esistenza non si è mai accorto nessuno (se non gli uffici finanziari del Comune), perché  in tutta la sua esistenza non ha mai prodotto nulla se non passivo. E i 40mila euro stanziati sono circa la metà di quelli che sarebbero dovuti essere, perché il liquidatore Alessandro Anastasi aveva segnalato quasi 90mila euro di cartelle esattoriali (che con la “rottamazione” si sono ridotti a 56mila euro), e di euro ne aveva richiesti 65mila.

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