Quando ho pensato a questo speciale di fine 2019, in tutta sincerità vi confesso che avevo paura di non farcela. Scegliere in vent’anni di musica solo venti canzoni, una per ciascun anno, non è affatto un lavoro semplice, perché devi necessariamente lasciare fuori qualcosa. Eppure, l’episodio che chiude questa quadrilogia paradossalmente è stato il meno complicato: il quinquennio che sta per chiudersi ha visto un paio di episodi troppo importanti per non essere menzionati, dischi esageratamente importanti per essere trascurati, personaggi lucenti che meritano una nuova vetrina. Che poi sì, è pur sempre una playlist per sopravvivere al lunedì, lo so. Però oggi spero di cuore possiate cogliere i significati di ciascun brano scelto, perché sono canzoni che danno motivi per andare avanti, per migliorarsi, per non farsi trascinare dalla bruttezza di questi tempi molesti, in cui i sentimenti vengono spacciati per ammennicolo negativo e tendiamo tutti a essere più chiusi con i nostri significant other. Con l’augurio che sia un Natale meno grigio, questi sono i nostri cinque regali sotto il vostro albero.

EPISODIO 4: 2015-2019

2015: Kendrick Lamar – The blacker, the berry

Non so se To pimp a butterfly sia il disco più importante degli anni zero—non so per voi, per me lo è. È l’album con cui Kendrick Lamar passa da “uno dei migliori rapper della nuova generazione” a un livello superiore, che lo porterà poi a vincere anche un Pulitzer, forse con il lavoro sbagliato, ma conta poco: To pimp a butterfly lo consacra come uno storyteller incredibile, e la storia raccontata, in un periodo storico come questo, è una delle più delicate, perché TPAB è esattamente un concept album su cosa voglia dire essere un afroamericano negli Stati Uniti in questi anni confusi. Non è un piangersi addosso, è una presa di consapevolezza a più riprese in cui Kendrick si confronta virtualmente con il suo padre spirituale 2Pac e in cui analizza criticamente tutta, ma proprio tutta la situazione. The blacker, the berry è un pugno nello stomaco, è una bomba in cui la terza strofa fa detonare ogni sorta di convinzione precedente. È il sistema a dover cambiare, e il sistema lo creiamo noi, tutti noi. Kendrick in questo è maestro, e il disco è assolutamente da ascoltare (anche perché musicalmente validissimo) per capire chi siamo e dove siamo arrivati in questi ultimi decenni. Profeta.

2018: Any Other – Walkthrough

Sono stati anni importanti per la musica italiana, e l’esempio paradossalmente non è neanche tanto la bellezza commovente di un disco come Two, Geography, sophomore album di Adele Nigro, meglio conosciuta come Any Other; l’esempio è il video de Le ragazze di Porta Venezia di Myss Keta, che mostra una scena nostrana sempre più viva e consapevole anche nel reparto femminile, cresciuto tantissimo e diventato un vero e proprio fiore all’occhiello. Basti pensare a GIUNGLA, Birthhh, La rappresentante di lista e tanti altri che hanno sfornato dischi super che fanno ben sperare per i prossimi anni. Noi oggi, però, abbiamo scelto quella forse più pronta tra tutte, perché Any Other è un progetto lucente di una cantautrice talentuosissima, e la sua Walkthrough (brano più lungo di un album che scorre piacevolmente, facendo anzi venire voglia di un seguito piuttosto immediato) è il pezzo che abbiamo selezionato per premiare lei e tutta la scena che farà parlare, speriamo a lunghissimo, di sé.

2017: Lorde – Perfect Places

Nel 2017 sono successe tante cose, e tra queste musicalmente la più interessante è stata Lorde. Lorde, intendiamoci, era già “successa” qualche anno fa; prendo in prestito però le parole di Ghemon per dire che “lei non càpita, lei accade”. La giovanissima neozelandese è una popstar unica e incredibile, con una profondità di scrittura straordinaria e matura, distante dai canoni classici di una popstar americana. Perfect places chiude Melodrama, disco di una potenza strabordante, musicale ed emotiva; è il brano che vogliamo ascoltare perché è quello in cui omaggia uno che ne parlò bene, tale David Bowie, che la definì “the future of music”; il chorus di Perfect places recita “All of our heroes fading / Now I can’t stand to be alone”, e si parla proprio di quel Duca che morì l’anno prima e che lei omaggiò ai BRITs con una cover strappalacrime di Life on mars?. Lorde incarna il bello della nuova generazione, ha talento e classe, è una stella lucente in un firmamento che ci auguriamo di ammirare ancora tanto, tanto a lungo.

2019: Massimo Volume – Nostra signora del caso

Il 2019 è stato l’anno del ritorno dei Massimo Volume, dopo sei anni di silenzio. Un ritorno a dir poco sacrale, come del resto si può agilmente definire Il nuotatore, un album clamoroso che non fa altro che massimizzare quanto Clementi e soci sanno fare magistralmente: raccontare storie, raccontarle con tappeti musicali costruiti seguendo la linea iniziata a tratteggiare negli scorsi decenni, adattandola a un periodo diverso in cui, comunque, c’è tanto bisogno di gente che sappia suonare. E i Massimo Volume, per l’occasione composti dal solo trio storico (Emidio, Egle, Vittoria), suonano che è una meraviglia, sia su disco che dal vivo. Testimoni tutti quelli che nei giorni precedenti al Natale hanno adorato regalarsi un loro concerto, nella fattispecie quello del Retronouveau, in cui il tempo si è fermato, cristallizzandosi in un puro momento di commozione collettiva, perché Il nuotatore è l’album che dovreste regalare al vostro amico più fidato per Natale, chiedendogli scusa se non siete mai riusciti a dirgli quanto bene gli volete.

2016: David Bowie – Blackstar

Per chi segue questa rubrica con costanza il nome di David Bowie non apparirà come nuovo, diciamo. Presenza bene o male costante (basti guardare due brani più su, in fondo), il Duca è perfetto per quasi tutte le playlist a causa di una innata e innaturale tendenza a fare tutto benissimo. Blackstar è il testamento artistico, consapevole e forte, di Bowie: un disco che anticipa di pochi giorni il suo arrivederci a questo mondo, per poi ritrovarsi chissà dove chissà quando, con la consapevolezza che ci sarà un poi, in qualche modo. E il singolo omonimo è quello con cui vogliamo chiudere questo stancante speciale sul ventennio appena trascorso, per diversi motivi: principalmente, non può essere etichettato come pop, rock, jazz o quel che volete, è semplicemente musica, ottima musica, l’utopia di Galeano per tanti musicisti probabilmente; in seconda battuta, dura dieci minuti in cui viene attraversato l’intero spettro delle emozioni umane, senza tralasciarne praticamente nessuna. E sono due punti importanti, perché viviamo in un’era in cui non abbiamo tempo per approfondire la cultura e la bellezza, e abbiamo paura di quello che proviamo. Errori enormi, errori che ci impoveriscono, errori che ci fanno tornare indietro a tanti, troppi anni fa, a esseri privi di coscienza e sensibilità. Chiudiamo lo speciale con questo augurio, quello di ricominciare a essere umani. Di ricominciare a essere belli, o almeno a provarci senza volersi adeguare nella melma in cui stiamo lentamente scivolando.

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