Si sta per chiudere l’anno, ma più di ogni altra cosa era importante giungere alla fine di questa rubrica speciale: l’energia mentale necessaria per selezionare un brano per ciascun anno dal 2000 in poi è sfiancante, perché le scelte si moltiplicano ogniqualvolta il dito tocca il touchscreen per mettere nero su bianco un’idea, un brano, un disco. Ho avuto bisogno di una reunion fuori sede con un paio di amici per liberare la mente e tirare definitivamente le somme del lustro che va dal 2010 al 2014, e ne è venuta fuori una playlist aggressiva ma strana, particolare, variegata. Non semplicemente un miscuglio di generi, ma proprio un mix di diverse mentalità, diversi stili di vita, abitudini e aspetti differenti. Un po’ come passare un fine settimana con un piemontese adottato e un laziale in un albergo campano, ecco, proprio così.

EPISODIO 2: 2005-2009

2010: Katy Perry – ET

Nel 2010 c’era questa diatriba su chi fosse la regina del pop, se Lady Gaga o Katy Perry: la Germanotta è probabilmente più completa, ma un disco come Teenage dream è l’obiettivo di ogni popstar che si rispetti. Come fosse una raccolta di singoloni, l’album è stato un successo planetario che ha affermato la Perry come un’artista decisamente più complessa di quella mostrata nel primo lavoro. Non è solo brava nelle canzonette, ma anche in brani più difficili come The one that got away. In ET si parla, per metafore neanche troppo velate, di amore fisico. Con maturità, malizia e senza veli di ipocrisia. Da segnalare anche una versione (però onestamente più brutta) con Kanye West che nel frattempo, proprio nel 2010, pubblicava uno di quei dischi di cui dovremo parlare presto, My Beautiful Dark Twisted Fantasy.

2013: Andrea Nardinocchi – Non mi lascio stare

Nardinocchi è una promessa che verrà mantenuta. Non badate a quanto tempo ci metterà, ma Andrea Nardinocchi prima o poi vi ruberà il cuore. Basterebbe smettere di osannare la banalità di gente tipo Ultimo e andare davvero al cuore della musica, premiare un talento raro come il suo, perché una voce come quella di Nardinocchi (unita alla sua capacità di scrivere canzoni) non l’ho vista così tanto spesso nel nostro paese negli ultimi decenni. Ha sbagliato il timing per Sanremo, è entrato non so perché in un vortice in cui ogni suo buon lavoro non veniva comunque considerato a sufficienza. Ma il suo problema non è musicale, e qui si parla di musica, per cui quando parlo del 2013 io metto lui, l’uomo che non so quando salverà ufficialmente la musica italiana (ma accadrà). Vai Andrea, speriamo il 2020 sia il tuo anno (perché l’ultimo singolo, signori miei, è davvero stupendo).

2014: Sia – Elastic heart

La prima volta che ho ascoltato Sia c’era in heavy rotation Chandelier, brano estratto da 1000 forms of fear, disco stupendo uscito nel 2014. Qualche settimana dopo, è scoppiata definitivamente la scintilla tra noi due, quando per la prima volta la sua voce ha flirtato con le mie orecchie in Elastic heart. Il pezzo è perfetto, e non tanto per dire: spaventoso lavoro di produzione, per quanto mi ci sia impegnato negli anni non ho mai trovato niente, e dico NIENTE, fuori posto. Tutti i suoni si incastrano perfettamente, la sua voce è clamorosamente bella e straziante nella sua imbarazzante seduzione, il video delle polemiche poi è la giusta ciliegina sulla torta su questo prodotto immenso. Sia, simbolo di come non serva mostrarsi per avere successo, di come l’essere sia decisamente meglio dell’apparire, è riuscita (con Diplo e Greg Kurstin) a mettere su il brano perfetto. Perfetto.

2011 …And you will know us by the Trail of dead – Summer Of All Dead Souls

Non è il lavoro più acclamato, ma è il mio preferito: questo basterebbe a definire Tao of the dead, disco del 2011 degli …and you will know us by the trail of dead. Basterebbe ma non basta, perché vi regalo un aneddoto gratuito sulla mia relazione con questa band, ed è datato 2018, agosto 2018. Ci troviamo a Castelbuono, ultima serata di Ypsigrock, parterre niente male con Shame, appunto i Trail of dead e i Jesus and Mary chain; non siamo in tantissimi, in proporzione, ad attendere proprio loro, pertanto poi mentre tutti erano a caccia di foto con i Reid li ho fermati a fine serata per scambiare due chiacchiere, tirandogli le orecchie perché mi è bastato pronunciare le parole “il mio disco preferito è Tao of the dead” per scorgere un accenno di imbarazzo sui loro volti dato che non avevano eseguito neanche un brano dal suddetto album. Li ho perdonati e ve li faccio godere perché sono veramente fortissimi.

2012: Cloud nothings – No future, no past

Per chi legge e ha stima dei miei gusti (o almeno li rispetta) in senso musicale, sappiate che una buona parte di questo merito va condiviso con i miei punti di riferimento, perché c’è tanta musica bella e non sempre ci arrivo da solo. Per questo, nel 2012, è servito che Luca, che dovreste anche conoscere come batterista dei Basiliscus P, mi indicasse la via facendomi ascoltare Attack on memory, album sensazionale dei Cloud nothings. Ed è per questo che oggi voglio chiudere con il brano che apre proprio quel disco, prodotto da un genio come Steve Albini, perché le urla scomposte e scoordinate di Dylan Baldi che ci indica l’assenza di un futuro e di un passato vanno oltre un logico nichilismo di scuola cobaniana, sono cupe e si incastrano alla perfezione in un sound molto più aggressivo e maturo dei loro precedenti lavori. Sono l’emblema di una generazione che forse non ha mai smesso di perdere, ma non ha mai voluto saperne di farsi da parte.

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