MESSINA. Lo Stretto di Messina patrimonio immateriale dell’umanità: ad un certo punto, l’idea che quel lembo di terra tra Sicilia e Calabria di cui scrissero Omero, Nietzsche, Pascoli, Goethe e D’Arrigo, potesse essere tutelata dall’Unesco stava per diventare realtà.

Era il 2013, ad amministrazione di Renato Accorinti appena insediata, e Sergio Todesco, assessore alla Cultura per pochi mesi, come primo atto ha preso carta e penna, riunito un comitato di studiosi e scritto alla Commissione nazionale italiana per l’Unesco di Roma una manifestazione d’interesse: “Proposta di inserimento dello Stretto di Messina nell’elenco UNESCO quale “Patrimonio dell’Umanità”.

“Lo Stretto di Messina, vero e proprio ombelico del Mare Nostrum e pregnante luogo di confluenze e interferenze tra Nord e Sud, Est e Ovest del Mediterraneo, si è infatti venuto costituendo, nel corso dei secoli, come un palinsesto territoriale che ha visto progressivamente stratificarsi fenomeni e realtà ecosistemiche, fabulazioni, saperi, eventi storici, memorie che dal mondo antico fino ad oggi hanno continuato a segnare con la loro variegata molteplicità lo specialissimo habitat eco-antropologico che si dispiega tra le due sponde della Sicilia e del continente, finendo con il costituire nel terzo millennio un unicum di cui non esiste eguale nel pianeta“, spiegava la manifestazione d’interesse.

Come si giustificava la richiesta di diventare patrimonio dell’umanità? Lo Stretto rispondeva ai criteri scelti dall’Unesco per “adottare” un luogo: “Essere direttamente o materialmente associati con avvenimenti o tradizioni viventi, idee o credenze, opere artistiche o letterarie dotate di un significato universale eccezionale”. Messina rispondeva sia con peculiarità mitologiche e leggendarie (il mito di Kronos e la falce, Arione, l’episodio omerico di Ulisse e le Sirene,  Scilla e Cariddi, il fenomeno e le fabulazioni sulla Fata Morgana, la leggenda di Colapesce, le storie di Giufà, la leggenda di Re Artù, il passaggio di San Paolo, l’attraversamento sulle acque di San Francesco di Paola, la storia di San Ranieri, etc.), che con peculiarità storiche (lo sbarco dei Normanni in Sicilia, la partenza per le Crociate, la rotta francigena, la partenza per la Battaglia di Lepanto, i forti umbertini e i presidi di avvistamento costiero, l’emigrazione e i flussi migratori)

Quanto al “Presentare fenomeni naturali eccezionali o aree di eccezionale bellezza naturale o importanza estetica”, oltre all’indubbia bellezza del sito, si citavano i gorghi e le correnti dei mari Tirreno e Ionio che si incontrano senza soluzioni di continuità, ma anche fenomeni peculiari come quello della “Fata Morgana”.

Altro criterio era quello di  “Costituire una testimonianza straordinaria dei principali periodi dell’evoluzione della terra, comprese testimonianze di vita, di processi geologici in atto nello sviluppo delle caratteristiche fisiche della superficie terrestre o di caratteristiche geomorfiche o fisiografiche significative“. Nella relazione a supporto della proposta, il comune di Messina spiegava che la natura “tettonicamente precaria dell’areale ha inoltre contribuito ad accrescere le caratteristiche di confine, di margine indefinito e, per ciò stesso, rischioso, precario come tutti gli spazi che non stanno “al centro” ma si affacciano su un “altrove”, ma soprattutto l’unicità anche biologica dei laghi di Ganzirri, della fauna ittica che attraversava le acque tra Sicilia e Calabria, e degli uccelli che “svernano” nello Stretto, sorvolandolo per le migrazioni (circostanze per le quali la laguna di Capo Peloro è Zona a protezione speciale e Sito d’interesse comunitario).

Caratteristiche che soddisfacevano anche altri due criteri, quello di “Costituire esempi significativi di importanti processi ecologici e biologici in atto nell’evoluzione e nello sviluppo di ecosistemi e di ambienti vegetali e animali terrestri, di acqua dolce, costieri e marini. e di “presentare gli habitat naturali più importanti e significativi, adatti per la conservazione in situ della diversità biologica, compresi quelli in cui sopravvivono specie minacciate di eccezionale valore universale dal punto di vista della scienza o della conservazione”.

“Il genius loci si è qui prodigiosamente moltiplicato in un vero e proprio pantheon di figure numinose, tutte impegnate a vario titolo a fornire alla città coordinate mitologiche, geografiche, socio-religiose, esistenziali – scriveva Todesco in una relazione che avrebbe composto le schede da inviare all’Unesco – lo Stretto di Messina appare essere stato oggetto, nel corso degli ultimi quattromila anni, di dinamiche di “investimento di senso”, intendendo con tale espressione più che la specialissima natura dei luoghi, la lucida consapevolezza – manifestatasi in seno a numerose culture e tradizioni letterarie – della peculiare specificità dello Stretto di Messina quale tòpos privilegiato per una serie impressionante e davvero sterminata di produzioni dell’immaginario da parte di numerosi popoli e culture.

Chi si occupava di dare validazione scientifica alla proposta, alla quale si sono subito aggregati gli assessori Filippo Cucinotta e Daniele Ialacqua? Una lunga serie di personalità accademiche: la “commissione Unesco” era composta da Emilio De Domenico (Biologo Marino, Dipartimento di Scienze Biologiche e Ambientali)  e Lucrezia Genovese (Direttrice CNR Talassografico di Messina) per la biologia marina, da Nicola Aricò (Storico dell’Architettura, Dipartimento di Scienze Cognitive della Formazione e dei Beni Culturali) per l’architettura, Anna Giordano (WWF) per ecologia e florifauna, Antonia Messina (Geologa, Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra) per la geologia, Giuseppe Restifo (storico, Dipartimento di Storia e Scienze Umane) e Anna Maria Prestianni (Storica dell’Antichità, Dipartimento delle Civiltà Antiche e Moderne) per la storia, Caterina Resta (Filosofia Teoretica, Dipartimento delle Civiltà Antiche e Moderne) per la geopolitica, e Sergio Todesco (Antropologo, a quella data Assessore alla Cultura e Direttore del Parco Archeologico dei Nebrodi Occidentali per l’antropologia. Il ruolo di segretario era stato affidato al giornalista Marcello Mento.

Alle relazioni dei componenti la Commissione si sono poi aggiunte altre tre relazioni di studiosi messinesi e calabresi: Rossella Agostino (Direttore Museo Archeologico Nazionale di Locri, Topografia archeologica), Giovanni Spampinato (Università di Reggio Calabria, Dipartimento di Agraria, Biodiversità vegetale terrestre), Antonella Cinzia Marra (Università di Messina, Dipartimento di Scienze matematiche e informatiche, scienze fisiche e scienze della terra), Paleontologia).

Ancora più prestigioso il comitato dei garanti culturali del progetto: Predrag Matvejević (il maggiore studioso al mondo sul Mediterraneo), Luigi M. Lombardi Satriani (uno dei più importanti antropologi italiani), Antonio Di Natale (messinese, biologo marino di fama mondiale, segretario generale della Fondazione acquario di Genova Onlus), Principe Francesco Alliata di Villafranca, cineasta e documentarista dello Stretto negli anni ’40. Previsti, ma non interpellati Andrea Carandini, Massimo Cacciari e Andrea Camilleri.

Non solo: c’era un comitato di “garanti politici al progetto, formalmente invitati, che avevano aderito, composto dall’allora presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone, dai parlementari Giampiero D’Alia ed Enzo Garofalo, e dai deputati regionali Filippo Panarello, Giuseppe Picciolo e Valentina Zafarana.

La richiesta, dopo le dimissioni di Todesco, non ha avuto più seguito. Nel 2015, le amministrazioni di Messina (assessore alla Cultura era nel frattempo diventato Tonino Perna e all’Identità e al mare Sebastiano Pino), Reggio Calabria e Villa San Giovanni, insieme a decine di associazioni, firmarono un protocollo d’intesa per rinnovare la manifestazione d’interesse, ma nulla si è concretizzato. Nella campagna elettorale per le amministrative, l’idea ha fatto capolino nei programmi dei candidati, tra i quali Gaetano Sciacca.

Il promotore, Sergio Todesco, dalle pagine del suo blog su LetteraEmme ha lanciato l’idea, diretta al sindaco Cateno De Luca, di riprendere in mano la proposta.

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