Bonus: lo Zio Angelo

 

È vero, ne abbiamo già parlato tempo fa, citandola come uno dei cardini degli anni ’90 a Messina, ma un accenno è d’obbligo. Posizionata all’inizio di via dei Mille, l’enoteca dello Zio Angelo, chiusa nei primi anni del 2000, era frequentata – palesemente o di nascosto – da entrambe le fazioni che all’epoca si dividevano lo spazio di Piazza Cairoli: quelli che avevano scelto come luogo di elezione il lato mare (Pk, il Rugantino e gli Endas), definiti “zalli” dai dirimpettai del lato monte, e quelli che stazionavano dalla parte opposta (fra Billè, il bar Irrera e la gioielleria Burrascano), che vantavano invece la nomea di “snobbini”. Una divisione adolescenziale, affine per certi versi a quella fra zecche e pariolini nella capitale (ma senza risvolti politici), che fu causa di amicizie decennali interrotte, amori impossibile alla Romeo e Giulietta e – manco a dirlo – monumentali sciarre collettive in caso di sconfinamenti improvvisi.

La putia dello zio ebbe il merito di sdoganare in riva allo Stretto una sorta di happy hours ante litteram fatto di salatini, olive, uova sode  e soprattutto ettolitri di vino dai nomi indimenticabili: il misto, lo zibibbo, gli champagnini. 

Un bicchiere costava 500 o 1000 lire: il primo nemmeno lo sentivi, al secondo iniziavi a barcollare, al terzo la vista si annebbiava.  Al quarto vedevi i draghi. Il quinto, narra la leggenda, provocava direttamente la separazione dell’anima dal corpo. Il tutto per una manciata di spicci.

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