MESSINA. “La storia dell’umanità è una storia di esplorazione e scoperta”. E se lo dice uno che è stato nello spazio per 534 giorni, e che per un totale di 32 ore ha letteralmente “camminato” nel vuoto astrale, c’è da crederci. Jeffrey Williams, sessantuno anni, colonnello in congedo dell’US Army, è l’americano che ha trascorso più tempo “fuori dalla terra”. Gli esseri umani che hanno la sua esperienza, che possono dire di averla vissuta, si contano in poche decine.

Ieri, l’Università di Messina gli ha tributato gli onori del caso, prima con il conferimento del dottorato honoris causa in fisica, poi con un bagno di folla di studenti universitari e di scuole superiori durante l’evento “Lo Stretto chiama, lo spazio risponde”, che lo hanno letteralmente bombardato di domande. Alle quali non solo non si è sottratto (come alle innumerevoli foto alla fine dell’incontro), ma ha risposto con dovizia di particolari. Perchè quando guardi la terra, e la vedi tutta sotto di te, la prospettiva cambia. Cambia molto.

E’ quando spiega con assoluta noncuranza, come fosse una cosa normalissima l’esperienza di “diventare se stessi un satellite”, dopo essere uscito dalla stazione spaziale orbitante intorno alla terra per una delle sue cinque “passeggiate” nel cosmo, che ci si rende conto di essere di fronte a un uomo che ha contribuito a scrivere uno dei principali capitoli dell’incredibile epopea che è la storia dell’esplorazione umana dello spazio: una storia nata poco meno di sessant’anni fa e che, secondo Jeffrey Williams, nel giro di venti o trent’anni “politica permettendo”, potrebbe portare l’uomo su Marte (e ritorno).

“Non posso sapere a cosa e ove porterà questo capitolo della nostra storia, ma so che questo desiderio è dentro di noi, di capire il mondo intorno a noi, e continuerà”, spiega a chi gli domanda perchè mandare un uomo sulla luna. E candidamente, nell’era in cui anche l’atto di andare a mare a tre minuti da casa è sviscerato con foto e storie sui social, Jeffrey Williams ammette il senso di appartenenza a casa, intesa come tutta la terra, che gli ha dato “vedere la terra dall’alto, e rivedere gli stessi posti ogni novanta minuti (tanto è la durata di un’orbita)”.

E il futuro? Si tornerà sulla luna entro il 2024, assicura la Nasa (ma Williams è piuttosto scettico su questa possibilità, che lega soprattutto a decisioni politiche e non tecniche), ma l’obiettivo, ormai conclamato, è Marte: “Dipende dalla volontà politica”, spiega senza esitazioni, “sarà necessario un mucchio di nuovo sviluppo di tecnologia, ma anche di nuove spese, quindi è una scelta politica. Ci vorranno almeno dieci anni”, è la sua previsione. Perchè, ha spiegato con sorprendente dovizia di dettagli, prima dell’uomo sarà necessario mandare sul pianeta rosso tutte le infrastrutture e le scorte necessarie alla sua permanenza. Che non sarà breve, perchè il viaggio sarà lungo mesi e mesi, sia all’andata che al ritorno.

Fervente cristiano, Jeffrey Williams ha scritto il libro “The Work of His Hands: A View Of God’s Creation From Space” in cui racconta la sua esperienza, e che ha definito “vivide lezioni sulla meticolosa bontà della divina provvidenza, la cura di Dio per la sua creazione e la sua saggezza nell’ordinare l’universo”. Un punto di vista che gli ha consentito di guardare al futuro con la saggezza di chi sa di avere vissuto una vita da una postazione di osservazione privilegiata. “Lavoro sodo per comunicare l’integrazione della verità dello studiare la terra da un punto di vista privilegiato con la rivelazione della verità da parte di Dio”.

Subscribe
Notify of
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments