MESSINA. “Stop ai test d’ingresso. Più finanziamenti e accesso garantito a tutti gli studenti”. È il testo dello striscione esposto oggi al polo universitario di Papardo dagli studenti e dalle studentesse di “Fajdda – Unione Giovanile indipendentista” per protestare contro i test d’ingresso previsti per l’accesso alle Professioni Sanitarie.

La manifestazione ha preso il via questa mattina, con la distribuzione di volantini e un momento di confronto, durante il quale sono state esposte le ragioni della protesta, ribadite in una nota stampa.
«Il numero chiuso – si legge nel comunicato – è emblema di un’università sempre più elitaria che non garantisce a tutti e tutte il diritto allo studio. Un meccanismo in cui chi può sostenere le spese dei  test, e dei costosissimi corsi di preparazione agli stessi, ha più probabilità  di accedere a determinati corsi di laurea.  Una triste realtà dove il merito di uno studente si misura in rapporto alla disponibilità di denaro; dove l’accesso ai diritti è garantito dallo status economico. Il test d’ingresso è solo il primo di una serie di furti che il sistema universitario opera a danno degli studenti e delle loro famiglie;  è solo la prima di una lunga serie di tasse attraverso cui le lunghe mani dell’università svuotano le loro tasche. Ma oltre il danno vi è anche la beffa! Perché se da una parte la governance impone tasse sempre più esose, dall’altra non è in grado di garantire i servizi minimi. La logica aziendale che guida le politiche di gestione dell’università pubblica ha portato il MIUR al sistematico e progressivo de-finanziamento degli atenei del mezzogiorno, ad una sempre più accentuata differenza fra gli atenei di serie A e gli atenei di serie B.  I tagli all’istruzione – insieme all’importanza assunta gradualmente dai sistemi di autovalutazione e premialità – impediscono l’equo finanziamento di tutti gli atenei e ne vincolano la sopravvivenza a criteri  meramente produttivi».
 «A pagarne il prezzo – spiega la studentessa Rosa de Meo.  – sono le università meridionali, quelle siciliane in particolare, in preda ad un totale e programmato smantellamento a vantaggio delle università settentrionali, considerate “virtuose” in base a parametri ambigui e arbitrari. Il numero chiuso e la demolizione progressiva delle nostre  università rispondono ad una stessa logica: è  il denaro (di una famiglia o di una regione) che garantisce il diritto allo studio. Ecco che si instaura così un circolo vizioso: le università con maggiori finanziamenti potranno garantire un maggior numero di posti disponibili, mentre le altre (per lo più meridionali) si svuoteranno. Queste operazioni, infatti, costringono sempre più giovani, senza servizi e prospettive, ad andare via dalla propria terra. È questa la prima fondamentale negazione del diritto allo studio per le ragazze e i ragazzi siciliani. Alla luce di questo quadro crediamo che lottare per il diritto allo studio in Sicilia significhi opporsi alla desertificazione programmata del nostro territorio, significhi  lottare per contrastare l’emigrazione forzata cui gli studenti e le studentesse siciliane sono soggetti».
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