MESSINA. Non andrà a giudizio per riciclaggio, ma restano in piedi, e saranno discussi in dibattimento, i reati fiscali legati alle ingenti somme di denaro portate all’estero e poi riportate in Italia. Così ha deciso il giudice per le udienze preliminari Monica Marino nel processo in corso a carico dell’ex sindaco di Messina e deputato nazionale Francantonio Genovese, del figlio Luigi Genovese (deputato regionale), della sorella Rosalia Genovese, del cognato Franco Rinaldi (anch’esso deputato, ma regionale), e della moglie Chiara Schirò, tutti rinviati a giudizio, e che compariranno davanti al giudice monocratico a marzo 2020.

Secondo il gup, Genovese non avrebbe riciclato i soldi portati in Svizzera dal padre Luigi Genovese (all’epoca senatore) quasi cinquant’anni fa, ma si sarebbe sottratto al pagamento delle tasse dopo averli fatti rientrare in Italia: tesi che ricalca quella del tribunale del riesame.

Secondo la Finanza, che ha seguito le indagini per conto della Procura (i due pm sono Antonio Carchietti e Fabrizio Monaco), l’ex parlamentare ha un debito col fisco italiano pari a 16 milioni di euro, ma il totale delle somme occultate sommerebbe cento milioni, parte dei quali trasferiti al figlio Luigi ed al nipote Marco Lampuri (anche lui rinviato a giudizio), ipotizza la Procura, per sottrarli dall’aggressione del fisco.

Tutto ha inizio quando dalle indagini della Guardia di finanza di Milano era emersa l’esistenza di fondi esteri per un ammontare pari ad oltre 16 milioni di euro, schermati da una polizza accesa attraverso un conto svizzero presso la società Credit Suisse Life Bermuda Ltd.: fondi in parte transitati presso un istituto Bancario di Montecarlo ed intestati ad una società panamense (Palmarich Investments) controllata da Francantonio Genovese e dalla moglie Chiara Schirò ; in parte (per oltre 6 milioni ) trasferiti in contanti in Italia direttamente a Genovese attraverso spalloni e resi così irrintracciabili.

A partire dal 2016, erano stati notificati a Genovese alcuni avvisi di accertamento per oltre 20 milioni di euro derivanti dalla conclusione di verifiche fiscali condotte nei suoi confronti. Era così emerso che gli indagati, anche avvalendosi di alcune società a loro riconducibili, hanno realizzato diverse operazioni immobiliari volte a trasferire ad altri soggetti beni immobili e disponibilità finanziarie in possesso di genovese per eludere il possibile sequestro dei 16 milioni provento del riciclaggio e per sottrarsi fraudolentemente al pagamento delle imposte e delle correlative sanzioni amministrative che frattanto venivano ad ammontare a circa 25 milioni di euro.

In tal modo, Genovese, nel tentativo di sfuggire all’aggressione patrimoniale nei suoi confronti, si sarebbe spogliato di tutto il patrimonio finanziario, immobiliare e mobiliare a lui riconducibile, in via diretta e/o indiretta, per tramite della società schermo GeFin srl (ora L&A Group s.r.l.) e Ge.Pa. s.r.l., di cui deteneva il 99% ed il 45% delle quote sociali, trasferendolo al figlio Luigi.

 

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