Prendo in prestito dal Pasticciaccio di Gadda:

Le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti”.

Così pare essere accaduto anche per quel fenomeno dei nostri tempi che chiamano Matteo Salvini. D’accordo, egli non è certo l’unico del suo genere nel panorama planetario. Gli States possono vantare quel ciuffolone biondo di Trump, i Magiari l’uomo di marmo chiamato Orban, i Cariocas un tipaccio mica male come Bolsonaro, e via enumerando, l’elenco degli aspiranti al lettino di Freud tra i potenti del mondo è assai lungo. Ancora d’accordo, non è il primo e non sarà l’ultimo nel nostro strano Paese, ma è sotto gli occhi di tutti come negli ultimi decenni – fatta eccezione per il solito Caimano di Arcore – nessuno come lui sia stato in grado di esprimere con uguale rozzezza posizioni reazionarie del medesimo livello in tema di omosessualità, parità di diritti tra uomo e donna, razzismo verso i neri e gli immigrati, guerre sante contro i non cristiani, violenza sessuale, porto d’armi, difesa dell’ambiente…

Non c’è niente da fare, anche se uno si sforza di non pensarci, di rimuovere la realtà di Matteo Salvini come si farebbe con un insetto fastidioso o con un incubo sgradevole causato da indigestione, è sempre costui a tornare a rimordere come un passato luttuoso con il quale non si sono fatti i conti e quindi, a mo’ di cibo indigesto, risale in gola e ci attossica di acidità. Lo fa quotidianamente, su tutte le reti televisive, nei social che centinaia di suoi devoti ascari intasano con testi, immagini, filmati che ci dischiudono come in una vertigine tutte le declinazioni del salvinipensiero. Che stia a nuotare in piscina con bracciate vigorose o partecipi a una delle consuete sfilate in cui indossa le mitiche felpe (Felpa Pig l’ha nominato qualche cattivo burlone del web) o arringhi folle plaudenti in stato di delirio mistico, Salvini ci è ormai familiare e domestico come la casa natia, il posto di lavoro o la tazza del cesso in cui ci sediamo quotidianamente.

Dicevo delle guerre sante. Queste ultime, al di là delle rozze apparenze cui ancora qualcuno (forse della sua stessa pasta) si ostina a credere, si sono rivelate in effetti nient’altro che espedienti volti a promuovere del personaggio l’immagine di campione della Cristianità.

Niente di più falso. Il nostro viceministro bazzica con la religione e il sacro tanto quanto un eschimese potrebbe bazzicare con il Sahara o un Tuareg stare a proprio agio dentro un igloo

In questi giorni Salvini ha dato il meglio di sé. Arringando il suo popolo sul palco della manifestazione sovranista di Piazza Duomo a Milano, egli ha voluto porre la sua battaglia elettorale, in vista dell’imminente tornata europea, sotto la protezione dei santi patroni d’Europa (San Benedetto da Norcia, Santa Brigida di Svezia, Santa Caterina da Siena, Santi Cirillo e Metodio, Santa Teresa Benedetta della Croce) e nientemeno che della stessa Madre di Dio (più precisamente “il Cuore Immacolato di Maria”), a riprova della cui devozione egli ha esibito un Rosario dicendosi certo che la Madonna lo avrebbe condotto alla vittoria.

Molti certamente sorrideranno con sufficienza a tali palesi intemperanze, ascrivendole alla caratteristica cinica e superficiale del personaggio, alla sua assoluta cecità rispetto a qualunque forma di galateo etico-politico, direi a qualunque politesse umana e culturale. Tanto per dirne una, quella Santa Teresa Benedetta della Croce da lui menzionata è la mistica tedesca dell’Ordine delle Carmelitane Scalze vittima della Shoah, è quella Edith Stein morta nel 1942 nel Campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia, ad opera degli stessi nazisti con i cui lugubri epigoni il nostro Salvini ama civettare.

Lo hanno preso viceversa sul serio i vertici del mondo cattolico, quelli istituzionali (numerosi Cardinali) e quelli culturali (da Civiltà Cattolica a Famiglia Cristiana all’Avvenire) i quali per antica consuetudine sono avvezzi a riconoscere da lontano le blasfemie.

Blasfemo è infatti piegare realtà proprie della sfera del sacro a meschine bramosie elettorali, blasfemo è mescolare in modo tanto triviale la religione e la politica. E se sotto un profilo teologico si potrebbe rammentare all’incauto leghista il secondo dei dieci comandamenti (Non nominare il nome di Dio invano) sotto un profilo “laico” ci sarebbe da notificare a questo parvenu uno dei principî su cui si fondano le società moderne, l’assoluta autonomia tra sfera della religione e sfera della politica.

πόδοτε οὖν τὰ Καίσαρος Καίσαρι καὶ τὰ τοῦ Θεοῦ τῷ Θεῷ.

Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi. Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Di chi è questa immagine e l’iscrizione?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». A queste parole rimasero sorpresi e, lasciatolo, se ne andarono” (Vangelo di Matteo 22, 15-22).

Come per tante altre cose, non c’è da guardarsi molto attorno per scoprire da dove vengono le verità essenziali. Le ha già dette tutte quel tale giovanotto della Galilea, un paio di millenni or sono.

Senonché nel paio di millenni che ci distanziano da quelle parole i Farisei hanno continuato a figliare tra loro, si sono moltiplicati a dismisura e adesso pretendono di esser loro a pronunciare parole di verità.

Il confronto si presenta duro, ma non possiamo oggi sottrarci a prenderne parte, scegliendo in modo limpido e inequivoco quale ha da essere il nostro campo.

 

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