MESSINA. Riceviamo e pubblichiamo una riflessione di Michele Limosani sulle quattro grandi sfide che il governo della regione siciliana è chiamato ad affrontare, secondo il docente universitario, se intende garantire, in un prossimo futuro, uno sviluppo più equo e sostenibile.

«La prima è quella demografica. Nel 2050, secondo le proiezioni ISTAT, la popolazione risulterà in media più anziana -passando da 43 a 51 anni- e la quota percentuale degli over 65 rispetto alla popolazione risulterà più alta che nel nord, attestandosi attorno al 40 per cento. La popolazione siciliana, quindi, invecchia e la quota di anziani sul totale aumenta. Non ci sono analisi statistiche consolidate per affermare che una popolazione meno giovane è ‘meno inventiva, meno motivata e quindi meno produttiva’; ma è certamente vero che l’economia produrrà di meno se le persone in età lavorativa diminuiscono.

La seconda sfida è quella tecnologica. Viviamo l’era della rivoluzione digitale con prodotti sempre più “intelligenti, connessi, personalizzati, verdi e realizzati con nuovi materiali”. A causa della rivoluzione digitale, però, nei prossimi 15 anni il 47% dei posti di lavoro in USA sono a rischio; si stima un valore intorno al 30% per il nostro paese. Ora, guardando alle precedenti esperienze storiche, molti economisti sostengono che il mercato sarà in grado di creare -nel lungo periodo- posti di lavoro in misura tale da superare quelli che sono andati “distrutti”. Nessuna garanzia, tuttavia, può essere concessa al fatto che il meccanismo di sostituzione sia valido anche per i singoli territori. Cioè a dire, se si perdono 1000 posti di lavoro in Sicilia e nello stesso tempo si creano mille nuove occupazioni in Veneto il saldo occupazionale per il paese sarà nullo, ma la Sicilia avrà registrato una perdita netta. Se i nuovi posti, quindi, si creeranno prevalentemente nelle regioni ad economia forte, quelle in grado di investire in nuove tecnologie e formazione, mentre le perdite più ingenti si registreranno nelle regioni ad economia debole, il divario è destinato ad aumentare e l’economia siciliana a subire un ulteriore collasso.

La terza sfida è quella del capitale sociale. Secondo le proiezioni Istat, nel 2050 l’isola avrà perso un milione di abitanti a causa dì denatalità e immigrazione e la ‘fuga’ riguarderà prevalentemente i più giovani. Non esiste evidenza empirica a favore della tesi che a lasciare i territori siano le risorse “migliori”, ossia quelle che non hanno trovato protezione da parte del sistema di potere che sovente “controlla” la debole economia locale (processi di selezione avversa); ma certo è che si tratta della più ingente perdita di capitale sociale dopo la grande migrazione dei meridionali degli anni ’50, perdita che inciderà negativamente sulle potenzialità di crescita futura del sistema economico.

La quarta sfida, infine, è quella organizzativa. Secondo quasi tutti gli indicatori conosciuti, l’Italia si colloca nelle posizioni di centro classifica per quanto riguarda l’efficienza e l’efficacia dell’azione della pubblica amministrazione. E’ un problema nazionale, dunque. Ma in Sicilia questa criticità assume rilievo ancora maggiore per il triste primato raggiunto nella gestione dei fondi strutturali. Ne abbiamo parlato altre volte; in questa sede è utile ribadire che senza un’azione di governo incisiva l’inefficienza della macchina burocratica aumenta i costi per le imprese e compromette la capacità di generare reddito nel sistema.

La consapevolezza delle sfide da affrontare deve accompagnare l’azione dei policy maker e favorire nell’opinione pubblica il dibattito ed il confronto tra le diverse opzioni di politica economica che i governi, sia nazionale che regionale, hanno la responsabilità di mettere sul tavolo. Vincere queste sfide, infatti, dipenderà da quello che tutti noi saremo in grado di fare».

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