C’è un problema, perché ho notato che questa rubrica spesso rispecchia in modo forse troppo fedele il mio umore settimanale; tendo a raccogliere le emozioni di sette giorni facendole convogliare in qualche brano per alcuni sin troppo trasparente. Dico “problema” perché succede in modo quasi involontario, senza effettivamente realizzare che sta accadendo, e le emozioni ai giorni nostri si pagano, è rischioso essere limpidi, è quasi dannoso a volte. In quest’ultima settimana però è morto Lorenzo Orsetti, un uomo che ha mollato tutto per andare a combattere per un bene superiore e che ha lasciato una lettera testamento che dovrebbe diventare la guida spirituale un po’ di tutti noi, e allora è proprio a lui che voglio dedicare queste cinque canzoni per iniziare questo lunedì come si deve.

 

Mogwai – Take me somewhere nice

 

 

Iniziamo da quella che in tante altre occasioni sarebbe la fine, perché abbiamo bisogno di catarsi e in questi casi ci sono alcuni luoghi sicuri dove rifugiarsi; tra questi figurano sicuramente i Mogwai, tra queste figura sicuramente Take me somewhere nice, che già dal titolo prova a portarti via dai pensieri negativi, prova a farti staccare da quelle cose che normalmente fanno imbestialire, fanno mpizzare le giornate come dicono a Toronto. Il delicato post rock accompagna un viaggio mentale gratuito e legale, un’alienazione da sé e da ciò che c’è attorno, perché è questo quello che i Mogwai sanno fare come pochi altri: farti volare, portarti via, mostrarti anche in questi tempi bui un mondo sereno per cui lottare.

 

Velvet underground – Heroin

 

 

Le fughe non sono solo quelle piacevoli in posti sereni, esistono anche fughe mentali che servono forse a rendere meno nera la realtà, ma non è sempre facile, né giusto scappare. Affrontare il proprio passato, i propri fantasmi, i propri mostri a volte è davvero doloroso ma necessario, doloroso come l’ago della siringa cantanta da Lou Reed. L’eroina è la metafora perfetta in questo senso, come si capisce dal testo che mostra la consapevolezza di avvicinarsi a un futuro quantomeno oscuro, ma esiste qualcosa di più forte della paura di morire, ed è quella di vivere. Una paura che a tratti è disgusto, rifiuto, voglia di chiudere il mondo fuori. Un errore, certo. Ma senza momenti no non saremmo capaci di scindere il bene dal male.

 

Green Day – Give me novacaine

 

 

Un altro ottimo esempio di scelta tra bene e male è in questo brano dei Green day, estratto da American idiot. Gran disco, American idiot, uno dei concept migliori realizzati negli anni zero: il protagonista è questo ragazzo che conosciamo con il nome di Jesus of Suburbia, un gran casino di persona, figlio di “rabbia e amore” come precisa nel brano che gli dà il nome; Give me novacaine è la storia di un ragazzo che cerca di perdere la propria sensibilità, che lotta per diventare più cinico e adatto a questi tempi bui, che mette anima e corpo in una sfida in cui ha solo da perdere. Ma il senso è proprio questo, è svuotare sé stessi e diventare insensibili: dopotutto, con i dovuti distinguo, non è quello che proviamo a fare tutti noi ogni giorno?

Bon Jovi – Something to believe in

 

 

Il problema, semplicemente, è la mancanza di una fede. Non in Dio, Allah, Buddha, no, qualcosa di diverso: parlo della fede che poi è speranza, il sapere che quello che si compie abbia un’eco eterna o almeno duratura. Avete presente il butterfly effect? Credo di sì, ma detta in soldoni è una teoria secondo la quale ogni piccola variazione in un sistema iniziale possa provocare dei cambiamenti sul medio-lungo periodo. La variazione di base, però, la si può fare solo se si ha voglia di modificare qualcosa, ed è per questo che Jon Bon Jovi, nel 1995, urlava a Dio la sua mancanza di fede in un disco incredibilmente sottovalutato come These days, in un brano sfavillante come questa Something to believe in.

 

Temple of the Dog – Say hello 2 Heaven

 

 

Non avere fede, avere paura del futuro, decidere di non lottare. E ancora: perdersi, lasciarsi trascinare via dagli eventi. Non riuscire ad alzare la testa, non riuscire *più* ad alzare la testa. Ne abbiamo parlato per qualche canzone come se fossero cose strane, lontane. Ne ho scritto anche pensando ad Andy Wood, morto il 19 marzo di troppi anni fa, o a Chris Cornell che gli dedicò questo brano con i Temple of the dog, nati proprio per celebrare la vita e la straordinaria attitudine dell’ex cantante dei Mother love bone. Ne ho scritto in una playlist che invece nasce sotto un’altra stella, quella per Lorenzo Orsetti, che ci ha lasciato chiedendoci di non smettere di brillare, di non abbassare la testa e di essere pronti a sacrificarci per il bene di questo pianeta malandato. Contro qualsiasi cosa che non sia portatrice di bellezza, a modo proprio. Ciao Lorenzo, che sia un buon lunedì anche per te.

 

 

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