La bizzarra “conferenza stampa” messa in piedi ieri mattina dal sindaco Cateno De Luca davanti a Palazzo dei Leoni ha avuto esattamente gli esiti che lo stesso primo cittadino si era prefisso, comprese le contestazioni, gli insulti, le tensioni e le immediate conseguenze, con il solito polverone mediatico, l’ennesima minaccia di dimissioni usata come forma di ripicca e l’esasperazione di una situazione estremamente delicata che rischia di trasformarsi in una farsa.

Che fosse un copione già scritto in fin dei conti lo avevano capito tutti, ad eccezione forse di quei cittadini a cui di recente lo stesso De Luca ha dato velatamente dei muccapaluni, ammettendo candidamente che parte delle cose che afferma sono deliberate minchiate per suggestionare gli utenti più “uterini”. Gli stessi, probabilmente, che non riuscendo a discernere fra la luna (la condizione economica della Città metropolitana) e il dito che la indica (il presunto lassismo dei dipendenti), si sono scagliati sui social contro gli 840 lavoratori dell’ex Provincia regionale, messi forzatamente in ferie, minacciati di licenziamento e finiti poi nel tritacarne dei social, fra le grinfie fameliche di centinaia di commentatori che hanno inveito contro quei “parassiti, fancazzisti e bivaccatori” divenuti ben presto carne da macello virtuale dopo vari post al vetriolo dello stesso primo cittadino, che ha aizzato ulteriormente i suoi follower contro il bersaglio più facile da colpire: pedine strumentali da muovere a piacimento sulla scacchiera politica per alzare ulteriormente l’asticella dello scontro e mettere con le spalle al muro i propri interlocutori. E poco importa se a farne le spese siano centinaia di lavoratori impauriti e messi deliberatamente alle berlina, esattamente come era accaduto per gli attacchini che non si trovavano al Comune (e che dopo otto mesi non si sono ancora trovati) o per gli addetti alla pulizia (che sono rimasti al loro posto anche loro dopo essere stati impallinati per settimane).

Sta di fatto che alla fine l’obiettivo è stato già raggiunto, senza particolari stravolgimenti a una trama che il primo cittadino ripresenta puntualmente dal giorno del suo insediamento, con infinitesimali variazioni. Come nel caso delle scuole chiuse o delle baracche da buttare giù in tempi irrealistici, indipendentemente dai risultati portati a termine (pochi, pressoché nulli), il Sindaco è riuscito comunque ad ottenere sia l’attenzione sul caso specifico, anche ben al di fuori di Messina, sollevando in qualche modo il problema nelle sedi competenti, ma anche il proprio tornaconto, con la sovraesposizione mediatica di cui sente costantemente il bisogno (non è un mistero che il suo vero obiettivo sia Palazzo D’Orleans), la propaganda sui social e l’affermazione dello stereotipo dell’uomo solo contro tutti in un città trasformata per l’ennesima volta in un campo di battaglia.

Il giochetto è sempre lo stesso: da una parte la malapolitica, le misteriose lobby di cui De Luca si guarda bene dal fare i nomi, la stampa cattiva e prezzolata, i lavoratori pubblici fannulloni che fanno sempre presa (viene da chiedersi se il discorso riguardi anche lo stipendio del sindaco metropolitano); dall’altra il “volto nuovo” della politica sceso in campo per scardinare quel sistema marcio con la vecchia logica del “dividi et impera” portata alle estreme conseguenze, con il relativo livore sociale che si alimenta sul web e per le strade, in una terra che ora più che mai avrebbe bisogno al contrario di fatti concreti e di meno provocazioni e “sciaquazza”.

Al di là delle evoluzioni della vicenda e della legittimità di quanto accaduto ieri, la domanda che ci si pone adesso è se sia possibile continuare ad assistere per altri quattro anni e mezzo allo stesso modus operandi e se davvero l’unico modo per portare avanti la baracca sia quello di sbattere i piedi per terra e fare i capricci (“O mi date i soldi o mi licenzio”), arrivando persino a dare in pasto alle fiere i propri concittadini con la speranza che il fine possa in qualche modo giustificare i mezzi.

In fin dei conti, Cateno De  Luca ci mette davvero la faccia nelle battaglie che vorrebbe portare avanti, condotte con un atteggiamento astioso e “incazzato”, ma poi lascia che a risolverle, la battaglia, sia il tempo, la scarsa memoria dei messinesi o qualcun altro. Basti un esempio fra tutti, cioè quello della chiusura delle scuole, dove a doversi assumere le responsabilità di chiamare a raccolta tutte le parti in causa fu l’intervento del Prefetto. Nei fatti, poi, la salvezza è arrivata dal decreto Mille proroghe che ha consentito la riapertura degli edifici, rimandando la data ultima di presentazione dei plessi adeguatamente messi a norma. E così, di prassi, alle scampanate d’allarme che lancia il sindaco segue soltanto l’intervento di forze più grandi di lui e di istituzioni più competenti, che da una parte intervengono in forza e grazie al suo richiamo alle armi, ma che dall’altra parte potrebbero essere messe in gioco senza necessariamente trovare, nel teatrino delle parti, una categoria da demonizzare e da mettere sul banco degli imputati.

Così il primo cittadino è pronto a far scoppiare un “caso nazionale” che dalla riva dello Stretto finisce a Roma e a Milano, nei salotti delle prime serate dei talk show o dei tg, per mettere davvero – a quel punto sì –  la sua faccia, facendosi promotore – ma solo a quel punto – di iniziative che mai nessuno prima di lui aveva affrontato. Fu così per le baracche. Fu lo stesso per le scuole. Adesso, probabilmente, il primo cittadino attende di dire la sua a reti unificate anche riguardo l’ex Provincia.

In attesa, comunque, che tutto si risolva con il suo solito passo indietro – fra i tanti. Perché, una volta avuto il suo momento di gloria, Cateno De Luca torna a più miti consigli e tutto “passa in cavalleria” come se niente fosse. E un nuovo ciclo di calma apparente cancellerà le tracce dell’inutile polverone sollevato.

Fino alla prossima catastrofe, sia chiaro.

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messinese stanco
messinese stanco
13 Febbraio 2019 11:31

L’unico vero risultato che ha finora ottenuto De Luca è stato farmi rimpiangere Accorinti, a cui devo le mie scuse