Il primo piano

Le scale sono tirate a lucido solo un paio di volte all’anno, e il tappeto rosso viene steso giusto in occasioni solenni. Alla fine della prima rampa, ad attendere gli avventori c’è il busto di Antonello: anni fa l’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo, guardandolo, chiese “Ma chi è, un monaco?”, non leggendo l’intitolazione. In alto, una volta arrivati alla sommità della seconda rampa, sulla balconata a pianta quadrata, troneggia la vetrata, non pulitissima,  con lo stemma di Messina.

Il primo ballatoio ospita le stanze consiliari: centraline, hotspot e  fili a vista non sono un grande spettacolo, ma basta non alzare troppo lo sguardo e andare oltre, verso la “navicella”, il lungo corridoio che ospita in fondo a destra gli uffici del sindaco e all’estremo opposto il consiglio comunale.

In genere, i turisti e il pubblico è questo tutto ciò che vedono di Palazzo Zanca. Fortunatamente. Perché inoltrandosi nel corridoio che ad anello percorre il perimetro del palazzo è un colpo al cuore. Si entra nel palazzo che solo gli addetti ai lavori conoscono.

Scompaiono i marmi, e il colore dominante diventa il grigio ministeriale. Ai lati del corridoio, tra una porta e l’altra degli uffici, sono ammassati decine di armadi che contengono faldoni pieni di documenti: pochi sono chiusi, la maggior parte delle carpette è a vista e sistemata alla bell’e meglio. Lo spazio è quello che è, ma lo spettacolo, e l’atmosfera, è da pieno socialismo reale.

Alzando gli occhi, se possibile, lo squallore è ancora maggiore: i condotti “di servizio”, che servono per il passaggio dei cavi, sono a vista, e gli impianti che negli anni sono stati sostituiti hanno lasciato sui muri e sui soffitti brutali strappi. E non aiuta l’asettica illuminazione al neon. Che fuori piova o risplenda il sole di giugno, nel corridoio la luce è sempre la stessa. Crepuscolare, fredda, desolante. Triste.

Il peggio però deve ancora arrivare: perché, nei ballatoi interni, chiusi a chiave, ci sono nascosti anni di incuria, di materiale gettato alla rinfusa, di mancanza di rispetto per la bellezza e la “sacralità” del luogo, ridotto a sgabuzzino e celato alla vista. Forse per pudore. O forse per sciatteria.

 

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Antonino Principato
Antonino Principato
6 Gennaio 2019 1:13

Splendido articolo. Complimenti!