Come a Wembley, nel 1986

 

“È la gente che me lo chiede”, pensa nella sua mente, sudato nonostante l’aria della sera di fine settembre sia frizzantina. È quasi mezzanotte di domenica 30, e dopo poco meno di tre ore di comizio quasi tutto urlato e in iperventilazione, e al sesto minuto di applauso consecutivo, Cateno De Luca riacquista un respiro normale. Guarda piazza Municipio. Cinquemila, diecimila, quindicimila persone. Non si contano. È così che si sarà sentito Freddy Mercury a Wembley nel 1986.

“Resta, resta” è il coro che tutta la piazza intona. Esattamente quello che aveva calcolato. Le dimissioni a sorpresa di tre giorni fa, quando i rapporti con il consiglio comunale sembravano quasi idilliaci, hanno scatenato una serie di eventi a cascata. I consiglieri hanno reagito a muso duro, non avendo alcuna intenzione di farsi mettere di nuovo all’angolo. I giornali per due giorni non hanno parlato d’altro. I social si sono scatenati. E tutto si è condensato nell’impressionante rito collettivo di sapore quasi pagano (nonostante il Padre nostro intonato da De Luca a metà del comizio) di piazza Municipio, in cui la relazione di inizio mandato, invece che consumarsi in un commiato da sindaco, è diventata la nuova alba, con la piazza a battezzare De Luca salvatore della patria, in un crescendo che a volte è sembrato idolatria.

“Un messia per Messina”, si legge in uno striscione. “Cateno rimani per noi”, recita un cartellone. Dal monumento ai caduti, preso d’assalto da una trentina di fan scatenati, partono i cori da stadio che interrompono i numeri enunciati da De Luca. Che non interessano a nessuno. L’unico concetto che interessa, alla piazza, sono tre parole. “Non mi dimetto”.

Che De Luca non pronuncia mai. Ammicca, fa intendere, avanza e poi si ritira, si schermisce, ma non le pronuncia mai. Ha in serbo qualcosa di meglio: un suggello, un atto inequivocabile, simbolico, di quelli che non lasciano spazio a ripensamenti. Il colpo di teatro prima del sipario.

Due ore e quarantacinque minuti di numeri, disastri, accuse, ricerca dei colpevoli, parole dure verso tutti, previsione di destini nebulosi e di lacrime e sangue, eppure la platea è ancora lì, rumorosa, pronta all’applauso o ai fischi, a comando. Sta per finire il suo discorso, Cateno De Luca, e ha disegnato una città in ginocchio. Sta per fare un annuncio: venti secondi di silenzio carico di tensione, pubblico col fiato sospeso. Scosta la fascia tricolore, con un gesto, studiato nei minimi particolari in maniera che non si capisca se sta per togliersela, e quindi deciderà di tenere fede alle dimissioni, o solo spostarla. Per prendere qualcosa dal taschino. È un foglio piegato in quattro.

“Io non mi arrendo”, sussurra al microfono, con gli occhi chiusi, aprendone il primo lembo. “Io rimango qui”, dice alzando impercettibilmente la voce mentre prende il respiro ed il foglio è aperto per metà. “Lo faccio per voi”, esclama, mentre apre gli occhi, sventolando il foglio ormai interamente aperto. È il climax. Alza gli occhi al cielo un urlo a pieni polmoni: “LO FACCIO PER MESSINA!” grida, mentre strappa il foglio, platealmente, con foga, più volte, fino a ridurlo a coriandoli. Erano le sue dimissioni. Cateno De Luca resta sindaco di Messina. La folla va in delirio.

Lui la guarda. È provato ma felice. Respira con affanno, come avesse corso una maratona. O si fosse esibito a Wembley davanti a centomila spettatori.

“È la gente che me lo chiede”, pensa nella sua mente. Stanco, sudato e felice. Domani si torna al lavoro. Come prima. Più forte di prima.

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Lorella
Lorella
30 Settembre 2018 18:15

l’ultimo scenario e’ il piu’ verosimile…..
bravo