Ah, l’amore!

Amore? Certamente! Non è forse questo che muove l’universo, anche se quella personcina ammodo di Matteo Salvini mostra di non essersene ancora accorta?

Ma quale specie di amore? I Greci, che se ne intendevano più di noi, ne avevano individuato un certo numero, da adattare di volta in volta alle diverse circostanze. Mi piace qui ricordarne alcune tipologie, giusto come forma di guerriglia silenziosa alla piattezza omologante, alla banalità e volgarità, al chiacchiericcio fatuo dei social, che dell’amore – sbandierato ad ogni pie’ sospinto – non mostrano certo di avere idee chiare e distinte, come si converrebbe. E non è ipotesi peregrina, quella cui qui timidamente accedo, che gran parte dei mali del nostro tempo possa essere ricondotta alla persistente confusione e sovrapposizione dei diversi tipi di amore, inconveniente che fa sì che si finisca spesso per confondere la realtà con le balorde rappresentazioni di essa che ci germogliano in testa.

C’è innanzitutto, al gradino più basso (o più alto, a seconda dei gusti), la pornèia (πορνεία), ossia l’appetito sessuale. Uno dei più accreditati dizionari (Walter Bauer or., F. Wilbur Gingrich e Frederick W. Danker revs., Greek-English Lexicon of the New Testament and Other Early Christian Literature, 1979, pag. 693) traduce il termine con “prostituzione, impudicizia, fornicazione, ogni genere di rapporto sessuale illecito”. Un riferimento sicuro per tale prelibatezza potrebbe essere, stando a quanto ne testimonia Paolo Sorrentino, Silvio Berlusconi.

Andiamo poi al pòthos (πόθος), il bisogno da assenza, il dolore nostalgico per la mancanza dell’essere amato. Riferimenti probabili per questa forma si candidano a essere gli elettori del PD.

Vengono dunque la manìa (μανία) e il pàthos (πάθος), quei movimenti degli affetti sempre in procinto di travalicare dall’ambito meramente “passionale” a quello degli istinti cattivi, patologici appunto. Riferimento: quelli che “aiutiamoli a casa loro”.

Ed ecco l’eros (ἔρως), l’attrazione in tutte le sue forme, secondo Platone un Dàimon in grado di sospingere l’uomo tanto verso le vette filosofiche quanto (nelle sue manifestazioni meno nobili) in direzione delle dissipazioni carnali. Riferimento: i Vittorio Sgarbi dei nostri giorni.

È dunque il turno della philìa (ϕιλία), che dovrebbe indicare la pura amicizia, ma cui sono peraltro sottesi, secondo Émile Benveniste (cfr. Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, vol. I, Torino 1981, pp. 257-271) anche il possesso e l’appartenenza. Potremmo indicare come riferimento i turpi pedofili del nostro tempo.

Andiamo avanti con la storgé (στοργή), la tenerezza, l’amore di appartenenza, filiale o parentale. Mi sia consentito un riferimento locale: Saro e Ambra Visicaro.

Segue l’harmonìa (άρμονία), la consonanza di sentimenti, ma anche di percezione estetica. Un riferimento di parte: l’amico Gioacchino Barbera.

Arriviamo alla chàris (χαρις), la grazia, la gentilezza d’animo, l’amabilità, fattispecie per la quale mi viene di pensare all’attuale, profetico, Pontefice.

Infine, al punto più alto, l’agàpe (αγάπη), la gratuità totale, il dono di sé, l’amore incondizionato che, seppur praticato da pochi al mondo, ci induce a coltivare ancora speranze per il genere umano. Riferimenti: Madre Teresa di Calcutta, Don Pino Puglisi e altri santi loro pari.

E l’antéros (αντέρως), l’amore corrisposto? E il Thélema (θέλημα), l’amore fatto di volontà? E l’Hìmeros (ίμερος), il dàimon della passione di un momento? E la Xenìa (ξενία), l’ospitalità sacra? E l’Aidòs (αἰδώς), l’amore reverenziale, e anche il pudore?

La nostra povera modernità non ha ucciso e consegnato all’oblio soltanto intere famiglie di sentimenti, ma anche di sfumature, modulazioni dell’animo, espressioni e codici comunicativi che nel passaggio da una generazione all’altra hanno perso diritto di cittadinanza.

A noi, miseri epigoni di grandi civiltà, non rimane che prenderne atto, sforzandoci di conservare – per quanto ce lo consentano le contingenze del presente – un qualche sentimento del tempo, memori dell’aureo versetto del Salmo 89:

“Insegnaci a contare i nostri giorni

e giungeremo alla sapienza del cuore”.

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