MESSINA. Quasi tredici milioni di euro per far partire definitivamente l’ampliamento del Porto di Tremestieri. Sono quelli riconosciuti alla Nuova Co.ed.mar. srl (vincitrice della gara d’appalto) dal Comune di Messina. Il 22 giugno, il direttore generale di Palazzo Zanca, Antonio Le Donne, ha infatti firmato la determina con cui sono stati impegnati 12.740.027,04 euro a titolo di anticipazione del 20% sull’importo totale dei lavori, come richiesto nel gennaio scorso dalla ditta. A questa cifra, si aggiungono anche i 46.750 euro destinati alla Gestam di Villafranca Tirrena per i lavori di bonifica delle aree demaniali marittime dall’amianto.

Diciotto mesi: tanto, da contratto, dovrebbero occorrere alla Coedmar per ultimare ed ampliare il porto di TremestieriLa consegna delle aree, nel marzo scorso, era stato il primo passo verso la piena funzionalità dell’approdo a sud. Che fino ad oggi è stato tutt’altro che funzionale, e alla viabilità cittadina non ha portato alcun vantaggio, come invece avrebbe dovuto. Perchè il porto di Tremestieri è nato (ed è stato concepito) sotto una cattiva stella.

Che il nuovo porto fosse tutto tranne che ben progettato ed eseguito, infatti, se ne è accorta praticamente subito l’Autorità portuale: che a maggio del 2007, un anno dopo l’entrata in funzione dell’approdo, nel documento “Assetti di pianificazione e studi di settore” su Tremestieri, redatto da Idrotec, Viola Associati e Bonifica spa da inserire negli atti del piano regolatore portuale che all’epoca si stava redigendo, segnalava pressochè tutto quello che negli anni ha martoriato la funzionalità del porto, tra insabbiamenti praticamente ad ogni sciroccata e cedimenti strutturali, e con esso la situazione viaria cittadina.

In ordine sparso, nel documento si legge di essere “in presenza di condizioni locali per molti aspetti non naturalmente adatte ad ospitare un nuovo e significativo porto“, di onde che “nel bacino portuale penetrano praticamente indisturbate, come è ovvio se si considera che la direzione di provenienza delle onde incidenti è praticamente parallela all’asse della darsena”, di “evoluzione morfologica dei fondali naturali antistanti, che potrebbe provocare erosioni e scalzamenti al piede delle opere“. Uno scenario tutt’altro che roseo, tanto che, anche in considerazione del fatto che il molo del 2006 non avrebbe mai potuto assorbire tutto il gommato, si parlava di “valutare la possibilità di costruire nuove ed efficienti infrastrutture portuali integrative“.

E anche quando del porto se ne parlava “bene”, il distinguo era sempre in agguato: riguardo all’agibilità nautica si legge che “Nel periodo da marzo – inizio della attività di traghettamento – a dicembre 2006 non si sono verificati inconvenienti significativi per quanto riguarda la agibilità nautica dei nuovi approdi, in termini sia di problemi per le manovre di entrata ed uscita sia di comportamento all’accosto. La positiva esperienza registrata nel suddetto periodo di osservazione non può essere ritenuta del tutto significativa per l’esercizio futuro, anche perché riferita a condizioni estive e ad una stagione invernale alquanto anomala e complessivamente favorevole”.

Perchè il porto di Tremestieri, la cui localizzazione  è stata definita a seguito delle indicazioni fornite dalla commissione di esperti costituita nel maggio 1999 dall’allora sindaco Turi Leonardi, è stato “sfortunato” sin dall’inizio? La commissione ha esaminato quattro diversi siti ed ha concluso, dopo valutazioni comparative tra diverse opzioni, che il sito di Tremestieri era da considerarsi preferibile agli altri per il traghettamento del traffico gommato pesante, individuando provvisoriamente nel porto di Reggio Calabria il corrispondente approdo sul versante calabrese. La realizzazione dell’opera è stata attivata con ordinanza della Protezione Civile n° 3169 del 21/12/2001 quale intervento urgente volto ad evitare l’attraversamento della città di Messina da parte di mezzi pesanti. Da lì un mezzo disastro.

Già nel 2005 Leopoldo Franco, docente di Ingegneria marittima allʼuniversità di Roma Tre, in uno studio (commissionato dalla famiglia Franza) spiegava che “il molo è una struttura esile ed è a continuo rischio di collasso”, non riscontrando “condizioni di sicurezza nè di tipo strutturale nè di tipo funzionale“. Perplessità, all’epoca, le espresse anche il progettista delle opere a mare, Giuseppe Mallandrino (quelle a terra furono progettate da Cesare Fulci e Giovanni Miceli): e poi un molo che nel capitolato d’appalto avrebbe dovuto essere lungo 150 metri, che diventano 135 nel progetto proposto dalla ditta che si era aggiudicata l’appalto, la Tecnis Spa, e che alla fine, con una perizia di variante, finisce col misurare 83 metri in più, arrivando a 218 metri: “per fornire una migliore protezione dal moto ondoso agli accosti e contrastare i fenomeni di insabbiamento verificatisi durante la costruzione“, spiega il documento dell’Autorità portuale. Poi, nel 2009, gli ultimi 18 metri del molo sono affondati: quattro milioni di euro di lavori di consolidamento per i quali sarebbero stati necessari un paio di mesi, e invece sono durati tre anni.

Oltre a tutto questo, ci sono gli “effetti collaterali”: come la progressiva scomparsa del litorale subito a nord dell’approdo, con la spiaggia che si è ritirata di parecchi metri, lasciando a protezione dell’abitato solo lunghe file di massi.

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