MESSINA. Dopo le motivazioni della sentenza Corsi d’Oro 2, che ha visto la condanna di Francantonio Genovese a 11 anni, la Procura ha fatto ricorso in Appello. Due i punti che secondo l’accusa sono contestabili della condanna del 23 gennaio del 2017, le cui motivazioni sono state depositate un anno dopo: la prima riguarda la derubricazione del reato di peculato in truffa aggravata, la seconda l’assoluzione di Franco Rinaldi per associazione a delinquere. Un Appello avverso la sentenza “laddove ha ritenuto di derubricare il reato di peculato in truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche”: per il reato di peculato sarebbe scattata la Severino per Genovese. Ora l’accusa, dopo la pubblicazione delle motivazioni della sentenza lo scorso gennaio, ha presentato appello (il 27 febbraio). Ricorso anche nei confronti dell’assoluzione di Franco Rinaldi dal reato di associazione per delinquere (ma è stato condannato a 2 anni e 6 mesi per false fatturazioni).

Secondo il ricorso presentato alla Corte d’Appello dai pubblici ministeri Fabrizio Monaco ed Antonio Carchietti il collegio della prima sezione penale di Messina, presieduta da Silvana Grasso, il Tdl ha “ritenuto che gli artifici descritti nei capi di imputazione siano “serviti non per mascherare le indebite appropriazioni di denaro, bensì proprio per ottenere disposizioni patrimoniali da parte degli uffici dell’ente pubblico tratti in inganno…”., da qui, la conclusione dell’assorbimento delle condotte contestate in singole ipotesi di truffa a consumazione prolungata”.

Mentre, secondo l’accusa, prevale quanto statuito dalla circolare-vademucum, richiamata dalla sentenza, per comprendere che “sulla base del progetto approvato non era necessario ai fini dell’ottenimento degli anticipi (almeno per il primo acconto del 50%) nessun contratto o altra pezza giustificativa di spesa. Tale vademucum parla chiaro sui presupposti necessari per ottenere gli anticipi…”.

Ma c’è di più:  “È stato sottoposto all’attenzione del collegio un caso di distrazione e successiva appropriazione di denaro che non sarebbe stato in nessun caso suscettibile di essere compendiato nella truffa. Si tratta dell’acquisto dell’immobile di via Pascoli, avvenuto utilizzando il denaro della formazione e per il quale come si è avuto modo di vedere e constatare – sulla base dell’interrogatorio dell’imputato Sauta – non si è poi provveduto (né si poteva provvedere) a rendicontare con fattura il costo. Ciò per la semplice ragione che non era prevista la possibilità per gli enti di acquistare immobili. Tale operazione dunque non sarebbe stata neanche astrattamente sussumibile all’interno della ripartizione dei budget di spesa indicati in progetto”.

Per Rinaldi, invece, il collegio presieduto da Grasso aveva ritenuto che “non si è avuto modo di apprezzarne il coinvolgimento nelle concrete attività preparatorie ed operative delle manovre intraprese dal gruppo criminoso, sembrando la sua collocazione… più secondaria ed a rimorchio del cognato”. Secondo l’accusa, tuttavia, la motivazione è “errata”, perché “Rinaldi ha contribuito, con più condotte, al perseguimento degli scopi dell’associazione per delinquere. In primo luogo egli ha partecipato all’associazione criminosa con un ruolo di supporto politico, strumentalizzando il medesimo affinché finanziamenti sempre più cospicui pervenissero agli enti di formazione riconducibili al suo gruppo familiare-economico”.

Il giorno della sentenza Genovese e Rinaldi erano rispettivamente parlamentare nazionale e deputato regionale. La Severino per i parlamentari non scatta prima del terzo grado di condanna, mentre per deputati regionali al secondo grado ma solo per reati contro la pubblica amministrazione o per condanne superiori ai due anni. Al momento nessuno dei due riveste incarichi politici.

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