MESSINA. “Immediata cessazione degli effetti e delle prescrizioni accedenti alle misure cautelari in esecuzione”. Era il 24 novembre scorso quando il collegio del tribunale del riesame (il presidente Antonino Francesco Genovese ed i giudici Alessia Smedile e Giuseppe Miraglia) annullava le misure cautelari per Cateno De Luca e Carmelo Satta ed il sequestro di un milione e 740mila euro al Caf Fenapi: il deputato regionale (eletto appena il 5 novembre) ed il suo braccio destro al patronato erano stati posti ai domiciliari due settimane prima nell’ambito di un’inchiesta su evasione fiscale da parte del Caf Fenapi. e scarcerati il 20 novembre dal gip.

Perché il tribunale del riesame ha accolto le istanze di De Luca e Satta? “Impossibilità di ravvisare il contestato sodalizio criminoso ravvisato dal gip, finalizzato alla commissione di reati tributari”, scrivono i giudici nelle 21 pagine di motivazioni, pubblicate il 12 marzo.

La decisione dei giudici del Riesame si basa sostanzialmente sulle risultanti di quella che, più che la copertura di un’evasione, immaginano una “predisposizione di documentazione riepilogativa da produrre presso gli organi di giustizia tributaria (poi effettivamente prodotta) al fine di superare le criticità rilevate in termini di indeducibilità dei costi”. “L’assunto secondo cui De Luca e Satta avessero organizzato un sodalizio criminoso e dato in tale ambito direttive ai collaboratori per falsificare documenti in guisa da costruire prove false per documentare operazioni mai compiute, non è sostenibile” continua il collegio.

E su De Luca, e il suo essere “deus ex machina” nel Caf spiegano che “Il perdurante interesse per le vicende dell’ente da lui creato non appare pertanto di per sé né occulto né criminoso” (De Luca, ricostruisce il Riesame, ha creato il Caf Fenapi nel 2000, ne è stato direttore generale fino al 2006, si dimette dalla carica dopo essere diventato parlamentare regionale, e rientra nella compagine sociale a gennaio del 2015) .

Anche gli episodi più “controversi (De Luca che in un’intercettazione del 20 dicembre 2014 dice “comunque le cose, pur se non si sono fatte, comunque devono apparire verosimili che si sono fatte…per essere chiari”), secondo il Riesame sono “insufficienti a riscontrare l’operatività di una struttura criminosa plurisoggettiva organizzata.

Quindi, sommariamente, emergerebbe una “quantificazione approssimativa” si, ma “non tale da fare ritenere di per sé la totale inesistenza delle operazioni economiche sottese”, perché “ricostruzione di una contabilità tenuta negli anni in maniera disordinata e poco ortodossa, e operazioni effettuate in maniera non accurata”.

Riguardo al giro di fatture, il collegio cita la circostanza favorevole a De Luca: “Per simili contestazioni, l’imputato De Luca è già stato destinatario di sentenza di non luogo a procedere all’esito dell’udienza preliminare il 9 giugno 2015”.

Sostanzialmente, l’accusa ritiene che si siano violate le leggi per quanto riguarda le spese per i costi del personale, per il mantenimento delle sedi e per i servizi affidati, facendo figurare false fatturazioni per maggiorare i costi. “La gravità indiziaria delle fattispecie ascritte non è sostenibile con la qualificata probabilità richiesta nella presente sede”, sostiene il collegio del Riesame.

E quindi si inizierà ad entrare nel merito nell’udienza preliminare fissata per il 19 aprile, davanti al gup Simona Finocchiaro, dopo la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero titolare dell’inchiesta, Antonio Carchietti, a chiusura delle indagini.

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