MESSINA. E’ il luogo più conosciuto dai turisti, quello più fotografato, quello attorno al quale dovrebbe ruotare la città, e invece negli anni è stato lo spazio più irrisolto di Messina. Già, perché l’area di Piazza Duomo è stata sempre al centro di progetti ambiziosi, tutti puntualmente andati in fumo.

La prima volta fu sotto la giunta di centrosinistra guidata da Franco Providenti: era più o meno il 1996. Senza concorso internazionale e senza colpo ferire, l’ex primo cittadino portò a conoscenza della città un piano di massima per cambiare volto all’area, firmato dall’architetto Antonio Virgilio. Autore degli allestimenti vecchio e nuovo del Museo Regionale, il professionista aveva pensato di eliminare la pendenza della piazza, ricavando così un sistema di scale-gradinate a corona. Sul progetto, si registrò una levata di scudi da ogni parte che indispettì Franco Providenti: nel mirino, non solo l’idea in sé, ma anche un problema relativo al passaggio della Vara.

Problema che si ripropose anni dopo, nel 2004, con il progetto vincitore del concorso bandito dal suo successore, Turi Leonardi: “Il ruggito del gallo”. Firmato da Marco Mannino (di Messina), Carlo Moccia di Mola (di Bari) e Michela Circella di Capurso (sempre Bari), ridefiniva l’assetto della piazza e delle adiacenze, delegando a un edificio la chiusura del fronte verso via Cavour, «in modo da ridimensionare il sagrato della basilica e rapportarlo alla dimensione della sua facciata». «La definizione di questo nuovo fronte – si leggeva nel progetto – non è stata però affidata a un edificio tradizionalmente inteso, si tratta piuttosto della realizzazione di un podio basamentale che degrada nel piano del sagrato inscenando la teatralità dello spazio della piazza». Piccolo problema: nello spazio occupato «dall’edificio non tradizionalmente inteso», infatti, sarebbero giunti i tiratori della Vara, la macchina festiva portata in processione il 15 agosto: centinaia di di uomini che tirano  lunghe corde e che, per mettere in asse la Vara con la Cattedrale, attraversano lo stesso corso Cavour. A prendere posizione sui limiti del bando era stato Massimo Lo Curzio, docente di Restauro alla Facoltà di Architettura di Reggio Calabria, che aveva scritto una lunga lettera all’allora sindaco e al suo ordine professionale, lamentandone le troppe lacune. Delle tre cartelle scritte, però, non si tenne conto, e il concorso continuò così come era stata predisposto.

«L’edificio – spiegavano i progettisti – è posto in sequenza con il sagrato e media il rapporto spaziale dell’invaso della piazza con il corso Cavour. Alle alberature esistenti si sostituisce, sul podio, una fitta serie di sottili e alte palme, un’ombracula naturale, misurata dalla geometrica disposizione dell’alberatura. Nello spazio interno della struttura del basamento, sfruttando anche il dislivello esistente tra il sagrato e il corso Cavour (circa 3 m), si ricava un piccolo parcheggio per autoveicoli su due livelli, accessibile dal corso Cavour e uno spazio per la sosta temporanea dei pullman turistici, accessibile quest’ultimo da una corsia preferenziale tangente allo spazio della piazza. Il ritmo cadenzato di grossi pilastri caratterizza lo spazio ipogeo del parcheggio; la struttura cava degli elementi murari permette la piantumazione di palme filiformi».

Al di là del problema della  Vara, ecco come la piazza sarebbe stata stordita dal “Ruggito del gallo”: «Il progetto prevede il restauro ambientale dell’invaso della piazza all’interno del sistema urbano complesso della città, ove gli elementi della composizione dello spazio sono stati assunti cercando di stabilire, una rete di relazioni spaziali significative. È possibile spiegare il progetto nella sequenza degli spazi che si susseguono: ai monumenti esistenti si sommano altri elementi che tentano di ristabilire la giusta tensione architettonica nei ritmi dello spazio urbano, contribuendo, per usare ancora le parole di Aldo Rossi, “alla costruzione della città nel tempo”. Per quanto riguarda il sagrato del Duomo: se ne ridisegnano i confini cercando di ristabilire l’unità formale della piazza nella configurazione originaria: uno spazio chiuso, cinto da edifici. La nuova costruzione dovrebbe ospitare il museo della città».

«A quasi cento anni dal terremoto che ha colpito la città di Messina – continuavano i progettisti – questo edificio intende celebrarne l’avvenimento con la costruzione di un grande contenitore di reperti, di citazioni significanti del dramma. Una struttura basamentale raccorda il nuovo edificio al Palazzo della Provincia completando l’angolo dell’isolato attestato sulla via San Francesco che inquadra prospetticamente la chiesa di Montalto. Il nuovo edificio intende offrire un risarcimento al fondale architettonico di piazza Duomo attualmente dominato dall’ampliamento del Palazzo della Provincia realizzato su via XXIV Maggio. Alla grande aula dell’edificio, come nel progetto per il mausoleo di Ataturk di Adalberto Libera, si accede dal basso, direttamente al centro dello spazio, due sistemi di rampe si incrociano e realizzano il percorso avvolgente intorno al vuoto centrale».

 

 

 

 

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