MESSINA. Una condanna ed un’assoluzione. Si è concluso con questa sentenza il processo per uno sbarco di migranti dell’agosto 2016. Sulla nave, arrivata al porto, anche la salma di un ragazzino morto per asfissia durante la traversata su un barcone, stipato di migranti, partito dalla Libia.

Il processo era nei confronti di Tahr Mohamed Gemin, eritreo e di Adam Bahar, sudanese entrambi trentenni. Gemin è stato condannato a 11 anni e 6 mesi di reclusione mentre Bahar è stato assolto per non aver commesso il fatto. La sentenza è della Corte d’Assise (presidente Mario Samperi, giudice a latere Anita Siliotti) ha anche disposto l’espulsione di Gemin a pena eseguita. Associazione a delinquere, sequestro di persona, estorsione, morte come conseguenza di altro delitto sono le accuse contestate.  Il pubblico ministero Antonio Carchietti aveva chiesto la condanna a 18 anni per Tahr Mohamed Gemin, considerato il carceriere in Libia e l’assoluzione per Adam Bahar che era accusato di aver guidato il barcone.  Gemin è stato difeso dall’avvocato Daniele Pagano mentre Bahar è stato difeso dall’avvocato Melita Cafarelli.

Il 2 agosto 2016 il pattugliatore Vega, della Marina Militare, approdò al porto di Messina con a bordo oltre 720 migranti soccorsi in diversi interventi lungo il Canale di Sicilia. Sulla nave anche la salma di un ragazzino che non ce l’aveva fatta. Il suo corpo era stato trasferito da un’altra nave intervenuta in prima battuta. Le indagini  e gli accertamenti svolti dalla Squadra mobile, qualche giorno dopo, sfociarono nel fermo di Tahr Mohamed Gemin con accuse gravissime. La procura gli ha contestato di aver fatto parte di un’organizzazione i cui componenti sono rimasti ignoti , operante nel territorio libico che avrebbe fatto partire 589 migranti in imbarcazioni dirette verso l’Italia. Secondo gli investigatori l’uomo era il carceriere della struttura in Libia, preposto alla sorveglianza dei migranti in attesa di imbarcarsi.

Dai racconti dei migranti  arrivati a Messina emersero i dettagli raccapriccianti delle umiliazioni, sevizie, percosse e scariche elettriche che subirono in Libia mentre erano in attesa di poter salire sui gommoni verso l’Europa. Il periodo di permanenza nella struttura detentiva in Libia sarebbe dipeso dal tempo durante il quale la somma pattuita per il viaggio verso l’Europa, veniva resa ai carcerieri dai parenti dei migranti in attesa. I migranti furono fatti imbarcare, ammassati su natanti di fortuna. L’accusa ricostruisce i particolari di quella tragica traversata in mare, numerosi migranti furono costretti a viaggiare nella stiva dell’imbarcazione con i boccaporti chiusi, e proprio in queste condizioni il ragazzo non riuscì a sopravvivere al viaggio. Con poca aria per respirare e senza spazio per muoversi il giovane, non ancora diciottenne, morì per asfissia.

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