MESSINA. “Un crocevia di rapporti ed alleanze, in cui converge l’influenza di cosa nostra palermitana, di cosa nostra catanese e della ‘ndrangheta”. E’ lo scenario che fa da cornice alla situazione del territorio di Messina  nell’analisi contenuta nella relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta ed i risultati conseguiti dalla Dia, la Direzione investigativa antimafia, riferita al primo semestre del 2017.

L’influenza di cosa nostra palermitana si fa sentire soprattutto nella vasta area che abbraccia i Monti Nebrodi, limitrofa alla provincia ma come spiega la relazione “anche la fascia tirrenica della provincia, ove è insediata la cosiddetta mafia “barcellonese”, assume caratteristiche simili a quelle di cosa nostra palermitana, sebbene i gruppi intrattengano intensi rapporti per la gestione degli affari illeciti anche con i sodalizi catanesi” che “per cementare tali rapporti, avrebbero individuato dei personaggi dell’area barcellonese, quali “referenti” delle consorterie etnee”.

Un importante indagine patrimoniale, condotta dalla Dia di Messina e di Catania ha poi fornito, nel semestre, “un’ulteriore conferma dell’osmosi criminale tra i gruppi di Messina e quelli catanesi”. A maggio è stato confiscato il patrimonio, del valore di oltre 28 milioni euro, “nella disponibilità di un noto imprenditore della provincia di Messina, considerato trait d’union tra i clan mafiosi dei Barcellonesi e i Santapaola”.

Vicino al comune di Tortorici, “ove sono attive le consorterie dei “batanesi” e dei “tortoriciani””, si estende il comprensorio dei Monti Nebrodi, con l’omonimo Parco Regionale, “i cui terreni sono stati oggetto d’interesse della mafia, quali canali per l’ottenimento di finanziamenti destinati allo sviluppo del settore rurale”.

Per quanto riguarda la “fascia ionica” (dalla periferia sud della città di Messina fino al confine con la provincia di Catania) “è area di influenza di cosa nostra catanese, con riferimento sia alla famiglia Santapaola -Ercolano, che alle famiglie Cappello e Laudani”. Nella relazione si spiega che tutte le consorterie catanesi si avvalgono di responsabili locali, che si suddividerebbero le zone di influenza secondo una precisa ripartizione geografica. Le attività criminali prevalentemente si orientano al controllo degli esercizi commerciali e delle imprese del settore turistico, attraverso le estorsioni.

A Messina invece  le consorterie sono interessate, tra l’altro, al gioco d’azzardo e alle scommesse clandestine. “Il controllo ed il rifornimento delle piazze di spaccio- prosegue la relazione –  rimangono un capo saldo delle famiglie messinesi, che in tale ambito possono contare sull’appoggio dei più potenti clan catanesi nonché, oltre lo stretto, delle ‘ndrine calabresi”. Si cita l’operazione “Doppia sponda”. Infine un cenno al processo  scaturito dall’operazione “Matassa”, l’inchiesta su presunti intrecci politico – mafiosi: “Non vanno, infine, trascurati- conclude la relazione nella parte dedicata a Messina – alcuni segnali colti nel recente passato, che hanno evidenziato il forte interesse dei sodalizi verso la pubblica amministrazione”.

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