“È stata dura ma ho fatto quello che dovevo fare”, alza le spalle, Jamila, non ha voglia di parlarne, un po’ per la stanchezza, un po’ perché non ha il tempo per rimuginare, per guardare indietro. Deve capire come sta Hwda, se lei e i tre piccoli fratelli sono riusciti a mangiare.

Quattro, cinque, tre: sono i numeri che raccontano la storia dell’incredibile viaggio di Jamila dallo Yemen alla Sicilia: quattro figli, l’ultima di cinque mesi di vita e tre chili di peso. Numeri che raccontano un lungo, drammatico viaggio. E una vita appena iniziata: quella della piccola Hwda, nata durante il tragitto. Arrivata ieri a Messina, con la nave umanitaria Sea Watch, assieme ad altri 156 migranti, al molo Norimberga. Ha cinque mesi ma pesa come una neonata. Così è arrivata in città: in grave sottopeso, disidratata, in ipotermia: le mani, i piedi, tutto il piccolo, esile corpo raggelato dagli ultimi tre giorni in mare, prima di essere recuperata. Una volta a Messina è stata trasportata dall’Asp d’urgenza al Papardo, dove i pediatri, gli infermieri, i volontari, hanno dovuto faticare a tenerla sveglia, mentre la riscaldavano, le facevano prelievi per verificare le sue condizioni, e flebo per idratarla e nutrirla.

È nata, Hwda, durante l’incredibile viaggio intrapreso dalla madre, Jamila, una donna somala, di 26 anni, che ha lasciato il marito in Yemen, e, costretta dalla povertà, è partita alla ricerca della sopravvivenza: incinta e con tre figli di 5, 3 e 1 anno. Da sola, in stato di gravidanza e con tre bimbi piccoli al seguito è arrivata in Libia lo scorso maggio, lì è nata Hwda lo scorso ottobre. Jamila è riuscita ad imbarcarsi solo quattro giorni fa. I capelli raccolti nel chador, i vestiti umidi, la giovane somala pensa “avanti”, e prima ai figli, scalzi e affamati: i tre più grandi afferrano il cibo della mensa del Papardo e mangiano con voracità, per tutto il pomeriggio. Non toccavano cibo da giorni, Jamila aveva solo un po’ di latte in polvere per tenere in vita, a stento, la neonata.

Dopo un anno di viaggio, sono adesso in una stanza del Papardo, tutti assieme, dopo che il personale dell’ospedale è riuscito a scansare l’ipotesi che i tre più grandi venissero trasferiti senza la madre alla caserma Gasparro. Finalmente al sicuro. Almeno per una notte.

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