MESSINA. «Senta na cosa: ma….Pino Donaggio che fini fici?». Per me Oskar è stato sempre e solo Fernando. Le rare volte che mettevo piede fuori dalla redazione di via San Camillo per qualche sporadica conferenza stampa, per tutti ero “uno che lavora a Centonove”. Pochi sanno, però, che per un decennio con Fernando, abbiamo girato in lungo e largo la Sicilia per i più grossi periodici nazionali a cominciare dai settimanali Oggi, Gente, Visto e Famiglia Cristiana, giornali all’epoca con tirature da centinaia di migliaia di copie e milioni di lettori.
Nelle lunghe ore di auto metteva da parte i panni stazzonati di OskarPress e si trasformava in Fernando, uno degli uomini più generosi, educati, affettuosi che io abbia mai conosciuto.


Non so perché, ma quando ho saputo della sua morte, mi sono balenate in mente due cose: l’episodio di Pino Donaggio e la certezza che non esiste una foto che ci ritrae insieme.
Eppure, almeno una volta al mese, si partiva per i posti più disparati. Sapere che al mio fianco c’era Fernando mi faceva stare tranquillo. A Messina, invece, inutile dire che si andava ad occhi chiusi: lo conoscevano tutti, la sua presenza era una specie di Telepass.


Il primo servizio l’abbiamo fatto per il settimanale Visto. Siamo andati a Termini Imerese per raccontare il Natale dei cassintegrati Fiat. Ero un po’ in imbarazzo. Io, per quello che sapevo, in quel momento rientravo nella categoria umana che lui definiva “sciacqualattughe”. Mi ricordo ancora che arrivati davanti allo stabilimento scomparve. Non lo trovavo più: aveva adocchiato Salvo Sottile, all’epoca corrispondente del Tg5, e lo circuiva a distanza per capire se dovesse fare il nostro stesso servizio. Sembrava un segugio che delimitava il territorio.
Quando lo Stromboli eruttò e i residenti furono fatti sfollare, siamo riusciti ad approdare sull’isola nonostante l’embargo. Siamo stati cacciati via da Guido Bertolaso in persona, all’epoca capo della Protezione civile (chistu è pezzu i medda…capisti?).
Siamo stati a Gela ad intervistare Rosario Crocetta quando era solo un sindaco antimafia che aveva dichiarato la sua omosessualità (risparmio un siparietto avvenuto nella segreteria del comune per non suscitare le ire della comunità Lgtb dell’emisfero occidentale).
In dieci anni io e “u prufissuri” abbiamo fumato migliaia di sigarette, bevuti altrettanti caffè, e solo sotto la mia insistenza mezzo bicchiere di vino quando andavamo al ristorante. Davanti a me non ha mai bevuto un solo goccio e non ha mai voluto mettere piede all’interno di un Mac Donalds.


Quando ho rallentato con le collaborazioni nazionali abbiamo cominciato a vederci sempre di meno. Lui si era ritirato a Torre Faro rinunciando ad una battaglia impari con un mondo del giornalismo irriconoscibile che ai suoi tempi era fatta di rullini, archivi fotografici, memoria storica. Fino all’anno scorso la sua telefonata la notte di Capodanno era un vero rito.
Dimenticavo: un giorno andammo a Milo, in provincia di Catania, ad intervistare Gianni Belfiore, l’autore dei successi Italiani di Julio Iglesias (in quei giorni aveva scritto per Loredana Lecciso, moglie di Albano). Non ha fiatato per tutto il tempo. Belfiore ci accompagna alla porta, ci saluta io esco, lui ritorna indietro e gli domanda: «Senta na cosa: ma….Pino Donaggio che fini fici?». Ancora oggi mi domando perché avrebbe dovuto sapere che fine avesse fatto il cantante di “Io che non vivo senza te”. Di certo, però, so che il mondo del fotogiornalismo, senza di te, ha perso tanto. A cominciare dalla dignità. Ciao Fernando.

 

(Foto di Giovanni Isolino)

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