MESSINA. Trenta giorni per “la messa in sicurezza generale dell’immobile, nonchè alla pulizia ed alla disinfestazione dell’area adiacente l’immobile, e infine alla chiusura di tutti i varchi di accesso, possibilmente in muratura, in modo da scongiurare l’intrusione di persone o animali all’interno”. Lo ordina il sindaco Renato Accorinti ai frati del Terzo ordine regolare di san Francesco.

L’immobile in questione è un fabbricato “in cattive condizioni igienico-sanitarie”, si legge nell’ordinanza emanata dall’amministrazione, di via Sergi, la scalinata del Tirone, un vero e proprio sfregio sul volto della città, a cento metri da tribunale ed alle spalle della via Antonio Martino, in via degli Angeli: una zona di nessuno in cui nei decenni scorsi è arrivato uno sbaraccamento parziale e nessuna operazione di riqualificazione, benchè vi sia ancora in piedi la Stu, società di trasformazione urbana che del Tirone intendeva farne una zona con maxiparcheggio, centro direzionale regionale da quattordici piani, centro commerciale e artigianale e due palazzi per abitazioni private.

Eppure il Tirone è l’ultimo borgo preterremoto esistente in città. Quello che ne rimane, oggi, sono macerie e umanità alla deriva. E problemi su problemi per i frati. Su questa collina di 15 mila metri quadrati, il Terzo ordine dei francescani, titolare di un terzo dell’area (7000 mq appartengono al Comune, il resto ai privati), decise di procedere autonomamente allo sbaraccamento ed alla riqualificazione: nel 1994, il padre provinciale dell’ordine cercò di avviare un processo di restauro. Risultato: nel ‘97, dopo il crollo parziale di un edificio di proprietà dei religiosi, il padre si ritrovò pure denunciato per omessa custodia.

Non è la prima volta che l’amministrazione è costretta ad emanare ordinanze per garantire sicurezza ed igiene alla zona: a novembre del 2014, ad allertare il Comune è stata la “situazione di pericolo causata da fabbricato in cattive condizioni igienico-sanitarie“. A questo si è solo parzialmente ovviato, perchè i frati del Terzo ordine non hanno provveduto a murare le entrate dello stabile.

Chi ci vive dentro, nella struttura fatiscente, tra immondizia, parassiti, carcasse di animali? Stranieri, provenienti dalle ex repubbliche sovietiche soprattutto, o da oltre cortina di ferro come rumeni e polacchi, di recente anche somali. Non hanno un posto dove andare, e seppure in completo abbandono, il palazzotto un tetto sulla testa lo offre. Non molto altro, a dire la verità. Arriva un’ordinanza, o uno sgombero, e l’immobile si libera per qualche giorno. Poi si riempie di nuovo. E’ così da dieci anni.

Da quando le ultime baracche sono state buttate giù, sostituite da nient’altro che le macerie delle stesse baracche, dalla vegetazione che cresce incontrollata, e dai cani randagi che vi scorrazzano. Non che siano mancati i progetti, negli anni: a partire da quelli previsto dalla legge speciale sulle baracche del 1990 mai interamente attuata dopo quasi trent’anni, e poi un parco urbano, la già citata maxi operazione immobiliare della Stu, persino un progetto degli stessi frati del Terzo ordine. Nulla.

A cento metri dal tribunale, a duecento scalini dal viale Italia, a due traverse di distanza dalla via Tommaso Cannizzaro, a mezzo minuto da piazza del Popolo, c’è il simbolo dell’immobilismo di Messina, di tutte le scommesse perse, di tutto il tempo trascorso senza che nessuno muovesse un dito. Con la speranza che possa bastare un’ordinanza a cancellare la vergogna davanti alla quale tutti si sono girati dall’altro lato.

Il progetto proposto dal Terzo ordine regolare di san Francesco…

 

….e quello che ne resta oggi

 

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