Ex Sanderson, la Silicon Valley della zona sud

 

– “Agrumi? Davvero qui ci facevano degli agrumi? Cioè limoni e mandarini? Sul serio?”. 

–  “Più che altro prodotti derivati dagli agrumi. Essenze soprattutto. Ma erano altri tempi…”

La sala mensa del coworking è zeppa come un uovo. I tavoli sono stracolmi di ragazzi e ragazze di ogni età e in sottofondo, dagli uffici posti sotto al soppalco, si sente il rumore inconfondibile e ipnotico degli androidi che aspirano la polvere e la sporcizia accumulata sui desk. 

“Guarda qui”, dice Dario, estraendo dalla tasca un piccolo palmare sottile quando un foglio. Con una mano regge una confezione di succo di frutta alla pera mentre con l’altra digita qualcosa in fretta e furia sulla superficie opaca dello schermo. Appena un paio di secondi e un ologramma nitido, proiettato da un fascio di luce, mostra un breve video in 3d sulla storia della Sanderson, uno dei fiori all’occhiello dell’economia cittadina prima dell’abbandono e dello sfacelo dei Secoli Oscuri.

Francesco osserva il filmato con attenzione, sgranando gli occhi azzurri e rotondi come due biglie. Poi si alza, si incammina verso la grande vetrata che domina dall’alto il polo tecnologico e come sempre non riesce a trattenere un moto di stupore.

Sono trascorse già un paio di settimane da quando si è trasferito a Messina da un paesino dell’entroterra calabro, eppure ancora non riesce a capacitarsi di trovarsi in un posto così all’avanguardia, che ha forgiato nel corso degli anni le migliori menti di tutto il sud Italia. 

Il panorama, da lassù, è da lasciare senza fiato, con le vecchie costruzioni di epoca industriale rimesse a nuovo, i capannoni metallici con i tetti in vetro scuro, la facciata luminescente del campus universitario, i laboratori di ricerca e i giardini pensili che sembrano quelli dell’antica Babilonia. Poi, più in fondo – immobile – il mare. Solcato da decine di piccoli droni.

“Bello eh?”, gli chiede Dario, osservando divertito l’espressione smarrita di Francesco, che continua a fissare l’orizzonte. “Pensa che un tempo in quest’area c’erano solo macerie e rifiuti. Me lo raccontava sempre mio nonno, che è nato a Tremestieri. Poi, dopo la laurea, si è trasferito a Milano, perché qui non c’erano prospettive”.

Lo sguardo di Francesco si fa ancora più basito, e i suoi occhi sferici e chiari danno quasi l’impressione di voler uscire dalle orbite.

“A Milano? Ma veramente la gente per trovare lavoro se ne andava a Milano?”

 

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