MESSINA. Siamo nel punto più stretto dello Stretto, dove la Sicilia si avvicina alla Calabria, in un luogo in cui la geografia smette di essere astrazione e si fa concreta, la si calca sotto ai piedi: da una parte lo Jonio, la sue acque fresche e calme, trasparenti; dall’altra il caldo abbraccio del Tirreno, il panorama che muta, la città che si occulta alla vista e si fa riviera.

 

 

Sorge qui, all’incrocio fra i due mari, nell’estremità orientale della Sicilia, l’antico borgo di Torre Faro, un luogo in cui convivono mito e folclore, beni architettonici e spiagge da sogno, bellezze paesaggistiche uniche al mondo e tradizioni secolari, e che da oggi e fino a metà settembre sarà per la prima volta pedonalizzato in maniera integrale (dopo la falsa partenza di dieci giorni fa).

La storia moderna del borgo ha origine nel 1700, quando, al termine delle incursioni saracene e piratesche, alcuni abitanti di Casale di Faro (l’attuale Faro Superiore) si stabiliscono a Capo Peloro per potersi dedicare a tempo pieno alla pesca. Negli anni il paese si ingrandisce sempre più e nel 1747 viene costruita la chiesa della Sacra Lettera, grazie anche al contributo dei pescatori e degli abitanti, che versano una piccola quota dei loro guadagni per sostenere l’allora piccola cappella. Nello stesso tempo, quasi sulla spiaggia di Punta Sottile, viene edificato un “lanternino” dal lato Ionio, rimosso poi con la costruzione del Pilone, di cui ai giorni nostri rimane la struttura cilindrica di cemento, ricovero di anziani e giovani che al riparo del sole e del vento conversano del mare e con il mare.

La crescita del villaggio non si arresta, e in seguito alla distruzione del terremoto del 1908 e dei bombardamenti della seconda guerra mondiale, disordinatamente, senza un preciso piano regolatore, l’abitato si estende sempre più tra i due mari e i laghi di Ganzirri, fino a divenire negli ultimi decenni del ‘900 il luogo privilegiato di villeggiatura dei messinesi. Nel corso degli anni nascono i primi lidi balneari, dall’Horcynus Orca in giù, e sorgono numerose attività alberghiere e di ristorazione, che non intaccano tuttavia l’anima marinara del borgo, scalfita dalle tradizioni della pesca e dal suo rapporto archetipico con il mare.

 

 

IL PATRIMONIO AMBIENTALE. E proprio il mare, con i suoi tumulti e le sue leggende, è ciò che ha forgiato più di tutto lo spirito del luogo, proprio come l’incessante lavorio delle onde modella lentamente la battigia. Punto di incontro fra le acque dello Stretto e l’abitato è la spiaggia di Capo Peloro, la “Punta”, come viene definita dai bagnanti, fiore all’occhiello di una Riserva naturale, quella della Laguna di Capo Peloro, che si estende su una superficie di 68,12 km e ospita più di 400 specie acquatiche, di cui almeno dieci endemiche.

Considerata come una delle più belle spiagge della Sicilia, e quindi del mondo, l’arenile di Capo Peloro offre ai bagnanti molteplici biodiversità sia nella flora che nella fauna, alternando parti sabbiose e ciottolato fino a zone costiere di un substrato duro e naturale chiamato “Beach Rock”,  un conglomerato che ospita comunità di organismi acquatici del tutto originali ed estese formazioni di biotipi protette a livello comunitario, un unicum in tutto il mar Mediterraneo.

 

 

Caratteristici del luogo sono i refoli, vortici generati dalla corrente dello Stretto di Messina, che nei secoli passati animarono la leggenda di Cariddi, una ninfa dalla voracità insaziabile che per aver rubato dei buoi al figlio Eracle fu trasformata da Zeus in un mostro che per tre volte al giorno ingoiava e rigurgitava le acque delle Stretto, ingurgitando tutto ciò che si trovava sopra o sotto la superficie del mare (marinai compresi).

La riserva di Capo Peloro, che abbraccia il borgo di Torre Faro, il paese di Ganzirri e i due laghi omonimi, è inoltre uno dei principali nodi al mondo di migrazione dei volatili, di molti esemplari di fauna marina e dei grandi cetacei. Ogni primavera sono circa 20-22.000, con punte di 33.000 per stagione, i rapaci che passano per la riserva. Fra questi si segnalano l’Albanella pallida, la Poiana Codabianca e delle steppe, il Falco della regina, il Lanario e il Capovaccaio. Tantissime inoltre le specie marine che attraversano le acque dello Stretto di Messina, fra cui il Tonno, l’Alalunga, la Palamita, l’Aguglia imperiale, il Pescespada, con l’antica tradizione delle feluche, ma anche i grandi cetacei, come Balenottere e Capodogli, e grandi predatori come lo Squalo Bianco ed il Capopiatto, specie che si riscontra nelle notti di buio di luna a profondità comprese fra 15 e 30 metri in particolari zone dello Stretto (Paradiso, S. Agata).

Grande anche la varietà di flora, con la ricca vegetazione spontanea che fa da corona intorno al Lago Grande di Ganzirri con papiri, palme, oleandri, canne, pini marittimi, eucalipti, cipressi e vari tipi di alghe.

 

 

IL PATRIMONIO ARCHITETTONICO. Se a far la parte del leone sono le bellezze naturalistiche, il territorio della Riserva offre anche numerosi manufatti di pregio che testimoniano l’attività dell’uomo nel corso dei secoli, fra i quali numerose ville antiche di Ganzirri risalenti all’Ottocento o ai primi del Novecento  (il ristorante “La Napoletana”, che occupa una villa neoclassica; la “Villa Principato”, che imita un castello medievale, la “Villa Miloro“, oggi Istituto Ortopedico del Mezzogiorno d’Italia, e la “Villa Roberto”, circondata da un vasto parco, unico polmone verde rimasto indenne a ridosso delle colline).

Spostandosi sempre più all’interno della riserva, ecco invece le Torri Martello, ispirate dalle fortezze circolari di Capo delle Mortelle, in Corsica, e costruite dagli inglesi probabilmente intorno al 1810. Dismesse 15 anni dopo con Ferdinando IV di Borbone, divenuto re del Regno delle due Sicilie, le torri superstiti nella Riserva sono la Torre Saracena di Ganzirri, la Torre Bianca a Torre Faro e la Torre Mazzone detta Forte degli Inglesi. Proprio all’interno di questo complesso monumentale sorge il MACHO, Museo d’Arte Contemporanea Horcynus Orca, della fondazione omonima, mentre accanto vi è il parco letterario nell’ex sede del Tiro a Volo.

 

Forte degli Inglesi

 

Da segnalare, inoltre, la nuova chiesa di San Nicola di Barile, a Ganzirri, edificata tra il 1929 e il 1939, la Chiesa S. Maria della Lettera di Torre Faro, che accoglie numerose opere artistiche, alcune delle quali recuperate tra le macerie del terremoto da varie chiese distrutte, e, sempre a Torre Faro, le Torri Morandi, costruite nel biennio 1954/55 dall’ingegnere e strutturista Riccardo Morandi come torri di ammaraggio dei cavi elettrici provenienti dal Pilone. Dismesse nel 1994, adesso fanno da sfondo all’omonimo parcheggio gratuito istituito dal Comune di Messina per decongestionare il traffico automobilistico estivo a Torre Faro.

 

S. Maria della Lettera

 

Le Torri Morandi

 

Infine, last but not least, i due manufatti che nell’immaginario comune rappresentano più di ogni altra cosa l’anima del luogo: il Faro e il Pilone. 

 

Il Faro

 

Anticamente posto dove ora nasce il complesso architettonico del Forte degli inglesi, alla fine dell’800 il faro venne sostituito da una lanterna un po’ più a sud che venne poi distrutta dal terremoto del 1908 e quindi riedificata più alta e moderna, con le attuali otto facciate bianche e nere. Tutt’ora funzionante e di proprietà della Marina Militare di Messina, il faro (adesso in ristrutturazione) si elèva con una forma ottagonale per 36 metri, laddove è  posizionata la lanterna che emette due fasci di luce di colore verde, visibili a lunghissime distanze grazie alle sue lenti convesse.

 

 

Poche centinaia di metri più in là, ultimo baluardo visivo a cui si appiglia lo sguardo, ecco invece il Pilone, che proprio come il suo gemello calabrese, dall’altra parte della costa, è un traliccio in disuso della linea elettrica che attraversava lo stretto di Messina fra la Calabria e la Sicilia. Detto “pilone di Torre Faro” (in dialetto u piluni), fu progettato dalla Sae a partire dal 1951 e costruito tra il 1954 e il 1955 su commessa della Società generale elettrica della Sicilia (Sges); Inaugurato nel maggio 1956, è alto 225 metri, a  cui vanno sommati gli otto della base di calcestruzzo armato che lo sostiene, per un totale di 233 metri.

 

 

Fino al completamento dei piloni sul fiume Elba in Germania, il pilone di Torre Faro ha vantato il record del pilone più alto del mondo. Tuttavia il forte vento che costantemente soffia sullo Stretto ha indotto i tecnici all’utilizzo di cavi d’acciaio ad alta resistenza ma a bassa conducibilità elettrica, cosicché i cavi si sono rivelati con gli anni insufficienti per soddisfare la richiesta energetica (oltre che pericolosi per il trasporto aereo) e nel 1994 si è optato per la loro rimozione e la messa in attivazione di cavi sottomarini. Oggi il pilone resta una fonte di attrazione turistica, particolarmente suggestiva di notte, quando la struttura d’acciaio riflette le luci poste alla base e si staglia come un monolite solitario dalle acque scure dello Stretto.

 

La foto in copertina, e in basso, è di Domenico Notarnicola. Le altre immagini sono tratte dal sito della Pro Loco Capo Peloro.

 

 

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Mari Elisabetta
Mari Elisabetta
18 Agosto 2019 13:06

Torre Faro, il villaggio tra i due mari…grazie di cuore per l’articolo scritto e pubblicato. Vera poesia che ben rappresenta la magia di quei luoghi da me già visti ma che desidero rivisitare guidata dalla profondità e fluire di parole che trasformano in immagini il pensiero. Grazie Marino Rinaldi