MESSINA. “Alla fine loro hanno fatto tutta un’altra attività di pulizia generale… se lei controlla la cronaca nera… se lei vede la Gazzetta del Sud… vede Messina Tirrenica Messina Ionica… a Catania ci sono casini… perché qui hanno tutti la testa calda…”. A conversare in auto sono Stefano Barbera (importante associato di Vincenzo Romeo) e l’amministratore di una ditta che produce grandi impianti per la ristorazione della quale il primo è rivenditore attraverso la I.H.T. (Inox High Tech). I due, partiti da Messina si trovano adesso in territorio catanese. È l’ottobre del 2014.

La conversazione, per il gip Salvatore Mastroeni, è fondamentale perché non solo descrive gli assetti criminali messinesi e l’importanza della famiglia mafiosa Santapaola-Romeo (e le sue relazioni con le cosche catanesi e calabresi), ma disegna l’alba di una nuova mafia, regalando, soprattutto, una nuova versione del capoluogo peloritano, divenuta città babba 2.0: “A Messina – spiega Barbera – la chiamano la provincia babba… cretina… stupida… la chiamano provincia babba… non succede nulla… l’unica cronaca che c’è il sindaco e quello, le tangenti non c’è un cazzo solamente problemi politici… perché loro (il clan Santapaola-Romeo, ndr) non vogliono problemi… e non permettono… è una isola felice Messina… naturalmente se si può fare una cortesia tipo il lavoro e quant’altro…”.

 

 

La città raccontata da Barbera all’interlocutore, insomma, è quella che si legge ogni giorno sui social: polemiche politiche, sindaco tibetano, munnizza per le strade. Niente deve accadere e nulla deve turbare l’ordine. È questa la volontà di Vincenzo Romeo, che perde la pazienza solo quando la pax viene calpestata. Come nel caso di un tentativo di estorsione ai danni di Barbera da parte di calabresi (che vengono picchiati per questo) o nella vicenda relativa a Nicola Giannetto, già co-titolare di locali storici come il Calasole e il Toronero, il quale ha un debito con la Cooperativa Italia Catering di Italo Nebiolo e Maurizio Guarnieri (entrambi arrestati) che, secondo i due, sfiora il milione di euro mentre, per il primo, è di 700 mila euro. Giannetto decide di risolvere la cosa in Tribunale, e questo scatena le ire di Guarnieri: “…se scendo a Messina ti faccio scavare la fossa con la tua vanga, non hai neanche idea con chi ti sei messo”.

Soci di Cic sono anche Roberto Cappuccio (anche lui arrestato) e Vincenzo Santapaola, che, sulla vicenda, avrà modo di dire: “In Sicilia le cose si risolvono diversamente e non in Tribunale”. La vicenda del debito della società “4 gradi” di Giannetto, che si trova costretto ad accettare le condizioni imposte (pagare 930.000 euro e rinunciare all’azione legale) e va a denunciare tutto, mette in crisi i rapporti tra i Santapaola e Romeo, che non ha gradito la denuncia scaturita dall’atteggiamento dei parenti ma mette comunque “in gioco la sua attività e il suo ruolo su richiesta di Pietro Santapaola”. In questa circostanza entrano in campo anche i rapporti tra Romeo e l’avvocato Andrea Lo Castro, al quale Giannetto si ero rivolto in passato per una controversia con l’imprenditore Bonina. La discussione che si svolge nello studio del legale (anche lui arrestato), si evidenzia nell’ordinanza, non è legata a un incarico ufficiale, ma mira ad evitare che assuma incarichi da Giannetto (che aveva denunciato Romeo, notizia saputa dall’interessato attraverso “uno della Squadra mobile”). Nel suo studio, il legale ascolta lo sfogo di Romeo e conclude stracciando un pezzo di carta sul quale erano stati tracciati alcuni appunti: “Questa la strappiamo…”.

Al di là degli episodi citati, la Messina del clan Santapaola-Romeo è un’isola felice, sempre secondo Barbera, che spiega al suo compagno di viaggio: “E non le dico i politici… sono presenti dappertutto e la cosa buona di loro siccome hanno una parola d’onore e non vogliono creare problemi…”. Un’isola felice che ha una spiegazione: “Il papà di Enzo è di Messina…, Romeo ed è di Messina ed ha sposato la sorella di Nitto Santapaola ed erano molto legati con Messina… la latitanza di Santapaola è stata su Messina, a Barcellona e lì c’è stata l’altra zona di Barcellona che era molto criminale… ma nominata criminale… perché lì si sono affiliati molto… poi ci sono state forti diatribe che poi lui ha messo a sistemare… perchè Messina prima era dei calabresi… per lui sono spariti un po’… tanto è che regge a 38 anni gli equilibri tra Calabria e Sicilia… Sono tutti giovanissimi (parlando dei Romeo, ndr) ma non fanno attività… però non fanno attività criminale… non esiste…”. Ecco perché, a differenza di altre città, a Messina il pizzo non si paga. Altra cosa, invece, “il regalo su un appalto” che, dice Barbera, “è stato ed è esistito sempre”.

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Pippo
Pippo
8 Luglio 2017 0:24

Quest’articolo deve fare riflettere molto sul giornalismo locale, e non parlo di lettera emme…