“Glugluglu. Ahhhh…”. Finisco l’ultimo sorso di limonata al sale e risalgo in sella. 

Tutte le volte, la sera prima di ripartire, prendo la bici, faccio un lungo giro fino a piazza Cairoli e inizio a sognare. Questa volta ,però, ho provato a fare un’analisi, non di ciò che mi piacerebbe fosse Messina, ma di ciò che siamo.

Di certo siamo in mezzo fra Roma e Tripoli, all’altezza di Atene e Lisbona. Siamo di fronte al mare e al cospetto di colli e monti. Siamo figli di diverse dominazioni e influenze culturali. Siamo abitanti di una terra che è abituata a tremare e che poco più di 100 anni fa ha chiesto a contadini, artigiani e mercanti dei villaggi limitrofi di ricostruire Messina e di farne nuovamente un importante centro della Sicilia, con i limiti culturali del tempo.

Siamo più vicini all’equatore della maggior parte delle altre città italiane e per questo siamo gente più calorosa,  abbiamo grandi stagioni e climi adatti all’agricoltura. Siamo parte di un’Italia in piena crisi di valori, dove mancano insegnanti di vita, formatori che dovrebbero  crescere i prossimi statisti, pensatori, scienziati, politici e che hanno perso le speranze o che si rifugiano in strutture private, decidendo di offrire le proprie competenze  a chi ne riconosce il valore e la dignità. Siamo, infine, cittadini che vivono in un sistema che privilegia l’individuo e non la comunità, il proprio recinto e non la strada di fronte, le proprie priorità e non quelle del quartiere o della città intera.

Questa premessa è priva di qualsivoglia pregiudizio, ma ci fornisce informazioni per progettare cambiamenti e trovare soluzioni. Qualsiasi tipo di processo evolutivo ha bisogno di tempo. Ci vogliono diverse generazioni prima di cambiare i paradigmi di una società, per tracciare un “fil rouge” comune, con una visione a lungo-termine portata avanti da amministrazioni, società civile e cittadini. Nel momento in cui uno di questi tre attori viene meno, il processo rallenta e qualcuno dovrà compensare  con le energie a disposizione.

Quando penso alla Messina del domani, non immagino di certo Copenaghen o Riga, potrei forse paragonarla a Porto o perché no a Nizza, ma in realtà, non posso che pensare solo  a Messina. Penso alla Passeggiata a mare e come rivalutare il complesso fieristico, penso a un mercato dentro la vecchia dogana, alla valorizzazione dei numerosi forti e all’aumento delle aree pedonali.  Questo, però, non significa che non si debba prendere spunto dalle  diverse realtà simili presenti in questo mondo. La diversità e la cultura sono gli strumenti necessari per creare un ecosistema che sia in armonia tra il luogo e la persone che lo abitano (e che lo vivono).

Per questo motivo oltre a leggere, studiare e viaggiare senza paura, l’appello che lancio è il seguente: facciamo orti nelle terrazze,  andiamo in bici se le distanze ce lo permettono, rispettiamo le regole della strada a costo di dover perdere qualche minuto in più, curiamo gli spazi comuni e partecipiamo attivamente alla vita e all’economia del territorio. Questi piccoli gesti quotidiani sono parole diverse di un linguaggio comune e decifrabile da chi vive il nostro stesso sentimento. Questo permetterà di riconoscersi , di condividere, di fare gruppo. Non essere uno, ma essere molti.  

Siamo chiamati a fare uno sforzo per garantire un futuro migliore a chi Messina non l’ha mai lasciata e a chi ci vuole ritornare. Contagiamo con il buon esempio le persone accanto a noi, per vivere tutti una città più…felice.

 

 

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